La festa di Santa Cristina e la cuccagna a mare
23 luglio 2013 di Augusto Benemeglio
A Gallipoli ci sono feste in ogni stagione, feste d’ogni genere, sacre o profane, sia che il libeccio sanguinario prema contro le antiche mura, e sembra quasi sospingere l’isola contro la terraferma, sia che l’estate trasformi la città, come avviene ormai da secoli, in un grande teatro a cielo aperto, in una sorta di bazar orientale, dove “una folla variopinta – scrive Gigi Scorrano - celebra se stessa e il proprio vitalismo”. Ma la festa più festa di tutte, quella principale, quella dell’estate, da non perdere, è senza dubbio quella di Santa Cristina, una delle due Patrone della città (l’altra è Sant’Agata, santa sfarzosa, bizantina, a cui è stata dedicata la magnificente cattedrale, una delle meraviglie di Gallipoli, e la solenne celebrazione del 5 febbraio).
L’umile cappelletta di Santa Cristina
Santa umile, Cristina, popolare e popolaresca, a cui i pescatori hanno dedicato una piccola cappella di calce e tufi che si trova sulla banchina d’attracco del porto peschereccio denominato “Canneto”, il più antico porto di Gallipoli. “Una cappella minuscola, quasi una fantasia della pietra, – scrive Antonio Errico – il miracolo di un altare alzato su un’onda, quasi un osso di seppia di memoria montaliana che la marea ha depositato in quel punto. Ma dentro c’è ogni odore del mare, ogni movimento del vento; dentro c’è tutto il silenzio del tempo.
La cappella sembra un sogno antico, dove l’uomo di mare prepara il suo cuore per l’impresa quotidiana, non una pesca miracolosa, ma quotidiana con il ritorno a casa con il vento che fa girare le laboriose stanche braccia, il remo sulla schiena e l’animo sereno e lieto. Sembra una delle antiche imbarcazioni a remi, quella cappelletta , una nave “Speranza” sopravvissuta al progresso e alla cupidigia. In effetti si tratta di una costruzione povera che richiama la condizione semplice di chi ne ha voluto la costruzione, i pescatori.
La facciata quadrangolare, su cui si apre una porta di accesso, è sormontata da un tetto a doppio spiovente ricoperto da embrici e da un campanile a vela con croce in pietra. L’antica cappelletta custodisce una statua in cartapesta della santa di Bolsena, con la martire legata ad un albero, con lo sguardo velatamente estatico, e un cagnolino ai suoi piedi, il tutto situato in una artistica nicchia dorata. L’immagine è ritenuta molto miracolosa da parte dei gallipolini , che spesso sostano in preghiera, invocando la Santa nei momenti di pericolo e di malattia. La si invoca ancora oggi, come si faceva un tempo, per ottenere la guarigione dalle piaghe ribelli ad ogni cura medica. Santa Cristina era stata invocata da tutto il popolo nell’autunno del 1867, in occasione del colera che aveva colpito la città, mietendo terrore e morte. Molte erano state le vittime, ma subito dopo l’invocazione, la pestilenza cessò. E fu un cagnolino che diede il segno della fine dell’epidemia. Fu grazie a lui che i gallipolini, in quel lontano autunno di centoquarant’anni fa seppero che la loro protettrice li aveva ascoltati, mettendo fine al colera, al terrore e alla morte, che aveva mietuto almeno due vittime per ogni famiglia.
Ed è per questo motivo che il messaggero a quattro zampe è stato posto ai piedi della Santa Cristina, e da quel momento, Gallipoli, si veste a festa e onora la giovane Santa patrona, con tutta la gioia, la solennità e la fortissima devozione religiosa che da sempre caratterizza la città e i suoi abitanti.
La cappella di Santa Cristina è stata più volte distrutta dai marosi, ma sempre riedificata dai pescatori, spesso a loro spese. A quella chiesetta non rinuncerebbero mai, e alla piccola Santa il popolo gallipolino dedica ben tre giorni di festa, dal 24 al 26 luglio, nel cuore dell’estate.
La cuccagna a mare
E’ una festa ricca di animazione, di colore, di allegria, di vitalità: canti suoni scoppi fuochi luminarie, ma lo spettacolo vero lo fa la gente a spasso tra la musica e i rumori. E’ lei la vera protagonista di questa grande festa; e c’e’ un appuntamento irrinunciabile nel mezzo della festa, potremmo dire la festa nella festa, perchè è un gioco che richiede tante doti, marinaresche e non, equilibrio, agilità, lucidità, furbizia e fortuna. Parliamo della cuccagna a mare, una tradizione che si rifà al più lontano passato, ma che sotto diversa denominazione risale forse addirittura al tempo di Mitridate, al tempo dei pirati della Cilicia, o dei Vichinghi del Vascello di Oseburg, al tempo della filibusta e della Tortuga, con il palo o la trave collocata in uno specchio d’acqua e sotto i pescecani o i coccodrilli, che fortunatamente ora non ci sono, ma comunque ci narrano di salite faticose e precipitose scivolate, cadute in mare, da parte degli eroici contendenti, che si cimenteranno per la conquista del trofeo ambito, che consiste in un semplice trofeo.
Credenze e superstizioni
Il mondo gallipolino una volta era popolato di credenze e superstizioni che rendevano la vita piu’ semplice ma forse meno faticosa, e alleviavano gli affanni soprattutto delle madri; effetti negativi si credeva (e forse ancora si crede) che avesse l’olio caduto per terra, ma i guai si potevano neutralizzare gettandovi sopra del sale; portava male anche il vino bianco versato sulla tovaglia e l’incontro con un prete uscendo da casa al mattino presto. Una ragazza non si sarebbe sposata se, spazzando il pavimento, le si toccavano le scarpe con la scopa, e la stessa cosa sarebbe successa se, sedendo a un tavolo, le fosse capitato il piede in mezzo alle gambe.
Quanto agli specchi, se si rompevano erano sette anni di disgrazia; specchiarsi troppo avrebbe portato il diavolo a uscire dallo specchio.
Bisognava proteggere i neonati dallo sbadiglio, perche’ era uno spiritello malefico che entrava nella boccuccia spalancata; gli starnuti in continuazione erano di buon auspicio: “bona sorta fiju meu!”, dicevano le madri. “‘na bbona fata e ‘na bbona ‘ndummata”.
E poi c’erano tante cose che portavano “spurchia”, sfortuna: l’ombrello aperto in casa, il donare coltelli e forbici, regalare fazzoletti. Non bisognava farlo altrimenti sarebbero arrivati dolori e disgrazie.
Trovare “l’acchiatura” (il tesoro) era invece un momento di gioia: spesso murato nelle pareti di casa oppure nascosto in nascondigli impensabili, il tesoro non poteva che far felice chi lo trovava; erano in verità risparmi o gioielli accumulati dai nonni e conservati dai figli.
Poeti e cantori di Gallipoli
Tanti i poeti , locali e non, e i cantori , locali e non , di Gallipoli, a partire da Pierangelo Bertoli, che venne a Gallipoli negli anni ’70 e ne rimase lungamente affascinato , voleva farci un festival tipo Spoleto, ma non trovò molta collaborazione. Ma lasciò una bella canzone: “Giriamo le vie di Gallipoli/Vittorio, Nicola ed io in libertà . Liberamente qui possiamo stare noi/ soli, tra le vecchie mura bianche di calce Porto di pescatori e gente povera/che invecchia sull’uscio di una sola stanza/ Che mai sarà questo nostro restare insieme?/ Scalzi giocano a calcio sulla strada/ bambini che crescono solo per andarsene/ Che mai sarà di questo nostro restare insieme/ Nicola quando finirà la nostra attesa?/ Quando chetato il mare/ senza più una parola/ le spalle curve, andremo in cerca della luna…
Altri hanno cantato Gallipoli standone lontani e con un solo vago ricordo:
“A volte suono e non mi so fermare / non ho più sete e non ho più fame / a volte suono e suono ore e ore / sento dei fuochi e sento delle lame. / A volte incontro un angelo radioso / suoni d’argento nell’oscurità / a volte c’è un serpente velenoso / mi punge il cuore col suo vecchio sax. Allora con un biglietto di terza classe / a livello del mare / si beccheggia col becco aperto / nei corridoi e sulle scale / arriverò dall’altra parte / arriverò in tempo per Santa Cristina / con le ragazze nelle sciarpe / dalle finestre a salutare / E nelle strade quella canzone / che sentivamo dalla nave / quella canzone che fino a ieri / non ci lasciavano cantare / Eviterò le ragioni / che non bastano mai / eviterò le prigioni / dei ricordi vedrai / Eviterò di cercarti / forse ce la farò / Eviterò di pensarti / ma non ci riuscirò / Eviterò le promesse / che poi non manterrò / eviterò le scommesse / te lo giuro, lo so / Eviterò le canzoni / che ti ricordano / eviterò le occasioni / dove ti incontrerò. La mia terra è lontana / è di là dal mare / so come è fatta / ma non ci so arrivare / La mia terra è lontana / come il fondo del mare / è una stella caduta ma / ma la vorrei trovare