Proprio quando il gruppo BRICS sembrava perdere la sua effervescenza, i paesi membri si sono affannati per combinare la loro azione. Circa la crisi in Siria – la più scottante questione in politica internazionale – i BRICS hanno palesato preoccupanti segni di una crisi d’identità: Russia e Cina hanno imposto il veto alla risoluzione della Lega Araba al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, mentre India e Brasile l’hanno sostenuta; questo schema si è ripetuto nuovamente circa una settimana dopo nell’ambito dell’Assemblea Generale.
All’incontro degli ‘Amici della Siria’ tenutosi lo scorso giovedì [23 febbraio] a Tunisi, si è riproposta una situazione analoga: Russia e Cina non si sono presentate al convegno mentre India e Brasile hanno fatto registrare una presenza di basso profilo. Sembrava così che l’era dei BRICS fosse ormai giunta ad un inglorioso tramonto. Al BRICS, in quanto gruppo di economie emergenti, non sono mai mancati i detrattori pronti ad accogliere con immenso sollievo il suo tramonto – molti in Occidente, specialmente gli Stati Uniti.
Ma è poi giunta la piacevole sorpresa: le chiacchiere sulla fine del BRICS erano esagerate. Le notizie arrivate questa settimana [settimana scorsa] da Città del Messico mostrano infatti che i BRICS non soltanto sono perfettamente attivi ed in salute, ma pure impazienti in vista del convegno annuale che si terrà nella capitale indiana il 28 e il 29 marzo.
Ai margini dell’incontro del G-20 a Città del Messico la scorsa settimana, i ministri dell’economia dei BRICS – Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa – hanno ritenuto necessaria una propria seduta consultiva privata, al termine della quale hanno lanciato la proposta di creare una banca multilaterale, che finanzierebbe e sarebbe finanziata esclusivamente da paesi in via di sviluppo.
Curiosamente, questa idea è partita dall’India. Nuova Delhi aveva fatto circolare la suddetta proposta tra le capitali dei BRICS con largo anticipo rispetto al vertice mondiale, in modo da poter proseguire con le discussioni in merito proprio nell’ambito del G-20.
Il progetto è ancora ad una fase embrionale e si va a collocare in parallelo rispetto all’appello lanciato nel G-20 a rafforzare i piccoli istituti di prestito a base locale, come la Banca per lo Sviluppo Inter-Americano, la Banca Asiatica per lo Sviluppo e la sua gemella africana. Tutte queste banche regionali hanno disposto aumenti di capitale che consentiranno loro di estendere la possibilità di prestito nelle rispettive regioni.
Nuova Delhi, capitale ospitante del convegno annuale di fine marzo, sta pure forgiando l’agenda per il prosieguo del gruppo.. La sua proposta si basa sull’impegno, preso in occasione dell’incontro BRICS d’aprile 2011 in Cina, di “rafforzare la cooperazione finanziaria tra le Banche per lo Sviluppo dei paesi BRICS”. La raison d’être della suddetta proposta è da individuare nel fatto che gl’istituti finanziari multilaterali esistenti non si sono dimostrati efficaci nel patrocinare le diverse attività nei paesi in via di sviluppo. Al momento, i maggiori donatori di queste istituzioni stanno essi stessi affrontando una crisi che minaccia seriamente le loro economie.
Il Brasile è stato tempestivo nel dare il suo appoggio di principio al progetto indiano che, sebbene sia ancora in fase di gestazione, ci si aspetta il prossimo convegno BRICS ne deliberi in merito. Tra l’altro, il Ministro degli esteri indiano ha annunciato che il suo collega cinese Yang Jiechi arriverà a Nuova Delhi mercoledì e all’ordine del giorno ci sarà anche la pianificazione dell’agenda per il summit di fine marzo.
L’India, dal canto suo, sente l’urgenza d’innovare l’architettura della finanza mondiale, perché la sua vulnerabilità ai rischi globali sta aumentando. Nonostante la sua crescita economica sia robusta (è stimata intorno al 7% quest’anno), la capacità di sopportare forti shock esterni rimane dubbia. Un rapporto recente intitolato L’atlante dei rischi globali per il 2012 della Maplecroft, la ben nota ditta d’analisi del rischio, cita l’India come il paese BRICS più esposto, essendo la sua economia la meno resistente del gruppo. Su una lista di 178 paesi, l’India occupa il 19° posto per fragilità dell’economia; la Russia, la Cina ed il Brasile invece occupano rispettivamente il 30°, 58° e 97° posto.
L’iniziativa indiana di una banca dei BRICS va letta anche come contrappeso alla campagna occidentale che vorrebbe riconoscere al gruppo un peso sempre meno rilevante all’interno delle dinamiche globali a causa di una minore attrattiva per i capitali esteri. Secondo questa tesi, sono i CIVETS – Colombia, Indonesia, Vietnam, Egitto, Turchia e Sud Africa – le nuove economie emergenti che presentano possibilità di guadagno più elevate per gli investitori.
Lo scopo è quello di compromettere il peso dei paesi BRICS prospettando l’esistenza di altre economie che stanno crescendo altrettanto in fretta e che possono offrire profitti altrettanto ingenti sui mercati finanziari. I BRICS non dovrebbero lasciare che questa manovra strategica riesca. Infatti, l’importanza dei paesi BRICS non può che aumentare dal momento che rappresentano Stati molto grandi con economie “a medio reddito” in rapida crescita; se al giorno d’oggi gli Stati “a medio reddito” provvedono al 58% della crescita mondiale, ai BRICS è riconducibile la ‘fetta’ maggiore.
In uno scenario globale in cui i ‘Paesi sviluppati’ stanno perdendo il loro controllo sulla crescita economica mondiale e gli Stati “a basso reddito” vi hanno contato soltanto per l’1% nel quinquennio dal 2005 al 2010, il ruolo cruciale dei paesi BRICS è evidente.
Il cuore della questione è che le economie dei paesi BRICS non soltanto stanno crescendo rapidamente (persino spettacolarmente), ma sono anche grandi. Cina, Brasile, India e Russia sono attestate rispettivamente al 2°, 7°, 9° e 11° posto tra le economie attualmente più grandi. Ciò che terrorizza l’Occidente, prevedibilmente, è il carattere dell’impatto del ‘blocco’ BRICS sulle dinamiche mondiali, inedito nella storia dell’economia moderna, fin’ora costruita sul binomio Paesi sviluppati/Paesi in via di sviluppo.
Il cambio di rotta è ulteriormente accentuato dalla crisi finanziaria internazionale, come i fatti stessi testimoniano: stando alle statistiche della Banca Mondiale che si riferiscono al periodo tra il 2007 e il 2010, i paesi BRICS hanno rappresentato il 53% dei $7250 miliardi di crescita del PIL globale. La crescita statunitense nello stesso periodo è stata di $592 miliardi, cioè appena un sesto della crescita del PIL del ‘blocco’ BRICS, pari a $3819 miliardi. Con ogni probabilità, il 2012 ripresenterà la medesima tendenza. Secondo le previsioni, il Giappone e l’Unione Europea non cresceranno mentre gli Stati Uniti sono in una fase di stallo economico e, malgrado un ingente indebitamento, ci si aspetta che crescano meno della metà della Cina, non considerando affatto la totalità dei BRICS.
Riassumendo, le posizioni divergenti dei Paesi BRICS riguardo la Siria non devono fuorviare; come si legge sinteticamente sul Global Times di Pechino “i BRICS non sono un blocco politico – militare assimilabile alla NATO (North Atlantic Treaty Organization), ma coordinano gli interessi finanziari delle economie in via di sviluppo più forti al mondo … Alcune economie minori possono crescere in maniera anche più rapida di certi BRICS … [Ma] i Paesi BRICS continueranno a rinsaldare il proprio ruolo di forza trainante nell’economia mondiale”.
Chi avrebbe previsto che i BRICS sarebbero riusciti ad attaccare così apertamente l’egemonia statunitense stabilita col sistema delineato a Bretton Woods? A Città del Messico la scorsa settimana, i ministri delle finanze dei Paesi BRICS hanno deciso che fosse arrivato il momento di sfidare la pluri-decennale, e finora incontrastata, direzione nordamericana della Banca Mondiale.
“I candidati dovrebbero essere scelti sulla base del merito e non della nazionalità”, ha dichiarato ai giornalisti il ministro delle finanze brasiliano Guido Mantega. I BRICS chiedono di poter proporre un proprio candidato per sfidare “chiunque sia nominato dal governo degli USA”, secondo Reuters. (Tra i possibili candidati di Washington ci sono il segretario di Stato Hillary Clinton, il precedente segretario del Tesoro Lawrence Summers e l’ambasciatore statunitense presso le Nazioni Unite Susan Rice).
“È giunto per noi [BRICS] – ha aggiunto il ministro delle Finanze sudafricano Pravin Gordhan – il momento di rompere la tradizionale spartizione tra gli USA e l’Unione Europea delle due poltrone [Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale] e questa volta dobbiamo cercare il consenso interno con maggiore convinzione”. Ciò potrebbe suonare idealistico. Ma questo non fa che aumentare l’importanza dell’audacia dell’affermazione, poiché dimostra come la fiamma dei BRICS è lontana dallo spegnersi a causa della crisi siriana.
(Traduzione di Paola Saliola)