Il titolo italiano, a dire il vero, è demenziale e falsa l'essenza del film. Non che Double Indemnity in sé mostri le tracce di una particolare comunicativa, ma almeno centra quello che subito si mostra il movente: Walter (Fred MacMurray), infatti, aiuta Phyllis (Barbara Stanwyck) a liberarsi di suo marito Mr. Dietrichson (Tom Powers) e garantirsi il premio assicurativo in modo tale da non destare sospetti in colui che esegue le indagini in merito all'interno della compagnia, Keyes (Edward G. Robinson): e anzi guadagnare un risarcimento doppio, come spetta in caso di morti rarissime nelle statistiche ufficiali. Il piano è ben congegnato e quasi perfetto: se non fosse per un intoppo e per i sospetti di Barton andrebbe in porto, rovinando il divertimento al pubblico.
Truffa e omicidio sono offerti allo spettatore sin dalle primissime scene e non credo che sia solo la consuetudine alla cinematografia di Billy Wilder (che non guardavo da mesi) a farmi apprezzare comunque questo titolo della protostoria filmica del regista austriaco a Hollywood. La verità è che Double Indemnity ha ritmo dalle prime scene, con quella musica tesa e un po' solenne, e si sbroglia con la tensione della vittima di un pericoloso avversario, o direi piuttosto aguzzino, anche se questo avversario è colui che deve scoprire la verità a dispetto delle approssimative indagini della polizia.
Intendiamoci: Keyes non smette mai di essere un personaggio positivo e amabile, con dentro il suo infallibile omino sospettoso e la sua digestione, diciamo così, empatica. Tuttavia lo spettatore ripone la sua ansia nel compimento del delitto, dove - con buona pace di chi ha dato il titolo italiano - non c'è nessun senso del peccato, ma solo l'adrenalina del videogioco, sottolineata da una scelta sonora almeno felice di accordi sonori e drammatici. L'abilità nei dettagli e il ritmo provengono a Wilder forse dal lavoro giornalistico che aveva svolto in patria, ma si manifestano con una specifica ed eccellente competenza cinematografica, che forse ha del pedante, rispetto alla leggerezza successiva, ma non cessa di stupirmi positivamente a ogni nuovo film.
Non prorompente, la donna si insinua nella psiche dell'uomo con una perfidia e una capacità seduttiva che il pubblico americano doveva ben riconoscere e contrapporre ad altri modelli femminili. Come un'astuta fattucchiera, Phyllis non lascia tracce in chi non sceglie di sedurre, di ingannare: sparisce dietro le debolezze di chi casca nelle maglie della sua rete. Per parte sua, l'uomo - anche quando posseduto da ben altri demoni come nel caso di Keyes - cessa di essere un eroe, una soluzione: l'esecutore e l'architetto si incontrano e si avvincono in una tensione elettrica e mortale: rimangono due figure separate e inutile dire chi ha la peggio.