Gennaio 2014
Patrizia&Giuditta 2 Voci per 1 Libro è una rubrica che nasce dall’incontro di due persone distanti per formazione ed esperienze di vita, ma unite da una grande passione per i libri e la letteratura. Due donne, Giuditta e io, che si sono conosciute leggendo l’una il blog dell’altra senza essersi mai incontrate di persona (ma intenzionate a farlo presto), due “sentire” spesso discordanti ma sempre rispettosi e aperti al confronto. Da questa complicità è nata, tra un tweet e l’altro, l’idea della rubrica. Un luogo in cui confrontarsi su un libro diverso ogni mese in modo divertente e scanzonato, senza il rigore di una recensione, ma con l’attenzione ai dettagli. Una sorta di gioco (liberamente tratto dalle famose interviste della trasmissione “Le Iene”) che vi permetterà di conoscere nuovi romanzi e sorridere un po’.
Il romanzo scelto per inaugurare il 2014 è La figlia, della scrittrice barcellonese Clara Usón, considerata una della migliori voci della letteratura spagnola degli ultimi anni. Il libro è la lucida ricostruzione delle vicende della ex-Jugoslavia dopo la morte di Tito, con le sanguinose guerre nazionaliste, culminate con l’assedio e la distruzione di Sarajevo e il massacro di migliaia di profughi bosniaci a Srebrenica. In questo contesto Ana, giovane e brillante studentessa di medicina a Belgrado, si trova a vivere sulla sua pelle la difficoltà di essere la figlia adorata del “boia dei balcani” Ratko Mladić, uno dei generali più spietati del conflitto, che diventerà il capo di stato maggiore dell’Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina. Il tema scelto da Clara Usón, l’odio etnico che trasforma amici e parenti in nemici, è particolarmente significativo in questo momento storico di nuove rivendicazioni nazionaliste proprio nella Spagna dell’autrice. Un romanzo imprendibile, che attraverso uno stile letterario magistrale, sottolinea quanto il mito della patria possa generare mostri. Mostri ancora più pericolosi perché tra le pareti di casa sanno trasformarsi in padri e mariti amorevoli.
La figlia
Clara Usón
Sellerio
Patrizia twitter: @patrizialadaga Giuditta twitter: @tempoxme_libri www.libri.tempoxme.it
1. Dai un voto alla copertina e spiegala
Voto: 9. Le copertine Sellerio sono sempre sofisticate e di pregio, di certo tra le più eleganti e riconoscibili del panorama editoriale. Anche in questo caso l’immagine scelta è splendida, anche se forse un po’ “datata”, visto che dovrebbe rappresentare la giovane e moderna protagonista del romanzo. Voto: 10. Eleganza e raffinatezza, senza compromessi. Da sempre. In più il riquadro di questa copertina è bellissimo e ricercato. Splendida.
2. L’incipit è…
Descrittivo, di difficile interpretazione (solo a romanzo inoltrato avrà un senso). La voce narrante conduce il lettore nella visione di un video in cui i tre componenti di una famiglia, madre, padre e figlia, scherzano allegramente tra di loro, per poi ritrovare i genitori in lacrime al funerale della ragazza. In sordina. Non è un incipit memorabile, molto giornalistico e realistico, pur presentando in embrione la notevole cifra stilistica di Usòn.
3. Due aggettivi per la trama
Epica e avvincente. Penetrante e incomparabile. Difficile da definire. Qui si si grida al capolavoro sia per quanto riguarda la fabula che per l’intreccio e in generale la struttura narrativa.
4. Due aggettivi per lo stile
Minuzioso, coinvolgente. (Ho letto il romanzo in lingua originale e non ho potuto quindi apprezzare la traduzione di Silvia Sichel che mi dicono essere magnifica). Perspicuo e senza sbavature. La resa di Silvia Sichel è di ottimo spessore.
5. La frase più bella
Ci sono frasi e concetti profondi in ogni parte di questo indimenticabile romanzo, ma ho trovato di un’illuminante chiarezza e verità la motivazione con cui uno dei protagonisti maschili, il pacifista Danilo Papo, voce narrante del libro, rifiuta ogni tipo di nazionalismo.(La traduzione è mia, chiedo scusa in caso ci fosse qualche lieve discordanza con quella ufficiale).
In termini di bello del racconto non posso che scegliere una frase che esula dal contesto narrativo, che è quello crudele e spietato delle guerre che hanno disgregato la Jugoslavia. Ne scelgo una pertinente alla definizione di mito che ha colpito la mia anima classicista:«El nacionalismo es absurdo – sostenía Danilo -, sentirse orgulloso de ser serbio y no esloveno es tan idiota como alegrarse de vivir en el piso quinto primera y no en el tercero segunda. Dónde naces, a qué raza perteneces, es un puro accidente, como ser rubio o moreno y calzar un cuarenta y cuatro o un cuarenta y dos».
«Il nazionalismo è assurdo – sosteneva Danilo – sentirsi orgogliosi di essere serbi o sloveni è idiota quanto rallegrarsi di vivere al quinto piano e non al terzo. Dove nasci, a che razza appartieni è una pura casualità, come essere biondi o mori e calzare un quarantaquattro o un quarantadue».
La debolezza della storia è di essere volubile e poco affidabile, soggetta al trascorrere delle ideologie e delle mode: perché, altrimenti, cambierebbe tanto la versione dei fatti da un secolo all’altro? Il mito ha una forza lirica e una bellezza estetica di cui la storia è carente. Il mito rettifica la storia, è come se dicesse: può darsi che le cose non siano andate proprio così, ma è così che avrebbero dovuto andare, è così che vogliamo ricordarle, e una disfatta eroica è più degna di memoria che una vittoria risicata. Il mito è per definizione tragico (o almeno lo ha detto Aristotele) e una tragedia degna di questo nome non può prescindere da un traditore, un eroe e una principessa innocente.
6. La frase più brutta
Ne La figlia non mancano le frasi dolorose e anche ripugnanti dedicate alla guerra e alle sue atrocità. Una di quelle che mi ha indignato fino alle lacrime è questa:
«Había dos hermanos, una niña de unos nueve años y un niño un poco mayor. Un chetnik ordenó al niño que violara a su hermana. El niño no obedeció; en todo caso era tan joven que no habría podido hacerlo aunque hubiera querido. El soldado mató al niño».
«C’erano due fratelli, una bambina di circa nove anni e un bimbo di poco più grande. Un cetnico ordinò al bambino di violentare sua sorella. Il bambino non obbedì, era così giovane che non avrebbe potuto farlo anche se avesse voluto. Il soldato lo uccise».
Le recenti guerre nei Balcani sono state sanguinarie e da tregenda. Tanti i passi del romanzo in cui si sottolinea la gratuità di tali efferatezze, la leggerezza con cui vengono condotti i piani di pulizia etnica. Scegliere quale possa essere il peggiore tra i tanti non è semplice. Apro il libro a caso e cerco la prima che mi capiti sotto gli occhi:
Era urgente bloccare il processo di disserbizzazione: i musulmani dovevano essere emarginati e, se non c’era altra soluzione, sterminati, la sopravvivenza della razza serba lo richiedeva. Quella signora elegante, dall’aria fragile, era ancora più sanguinaria di Milošević e di Karadžić. Radovan disse che se la vittoria della causa serba costava centomila vite, era pronto a sacrificarle. Il generale Ratko Mladić alzò l’offerta a un milione e la delicata Biljiana la sestuplicò: ” Siamo dodici milioni di serbi; se anche ne muoiono sei milioni, gli altri sei potranno vivere in modo decente” dichiarò.
7. Il personaggio più riuscito
Ana, la protagonista femminile che dà il titolo al romanzo. La scelgo per la sua estrema credibilità. E’ eccezionale il modo in cui l’autrice riesce a “entrare” nei pensieri contrastanti che attraversano la mente di una figlia che adora il padre ed è da lui adorata, una figlia che non può accettare che quello stesso uomo sia lo spietato assassino di cui tutti parlano. Non riesco a scegliere tra la protagonista Ana Mladić e Danilo Papos, voce estrosa e buffonesca che riesce a dare lucidità di visione e trasporto emotivo alle terrificanti vicende narrate.
8. Il personaggio meno azzeccato
La figlia è allo stesso tempo romanzo e ricostruzione storica, letteratura e documento giornalistico, per questo non può esistere un personaggio meno azzeccato degli altri. Tutti sono drammaticamente reali e non solo realistici. L’esperimento di La figlia è prodigioso. Interpretare la storia recente dei Balcani attraverso l’ottica interna di personaggi reali, in un miscuglio di Storia e storie, è affascinante e convincente. Posso scegliere tra i personaggi più crudeli, quelli che ti fanno gelare il sangue per la freddezza con cui guardano morire e ordinano di uccidere: Milošević, Karadžić e su tutti Ratko Mladić, che diventa il più crudele di tutti, proprio perché la scrittrice ce lo mostra anche nei suoi affetti e nel suo vivere quotidiano.
9 La fine è…
Da Nobel. Strepitosa!
10. A chi lo consiglieresti?
A tutti coloro che hanno una coscienza politica solleticata da tentazioni nazionalistiche e ritengono che le guerre siano sempre affare altrui. Trovo il libro di Clara Usón non solo un capolavoro letterario, ma anche un’opera di divulgazione altamente istruttiva. Appena avranno l’età per comprenderlo lo consiglierò ai miei figli e credo che ogni genitore dovrebbe fare lo stesso con i propri.
La figlia è un capolavoro, ben strutturato, di grande spessore meditativo, con cura ai dettagli e alla ricostruzione storica, di grande impatto emotivo e una riuscita ricerca di imparzialità e verità. Io lo suggerisco ai giovani, dentro e fuori le aule scolastiche, perché quello che è accaduto a pochi passi dalle nostre case serene li riguarda e deve riguardarli. Già una volta abbiamo pronunciato “mai più” eppure:
Un intervento esterno peggiorerà le cose e basta, convennero francesi, tedeschi, inglesi, russi e nordamericani; che si pestino pure finchè vogliono e quando tutto sarà finito, faremo ordine, ma la televisione portò la guerra nelle case degli europei e degli americani, tra lo spot di una macchina e la pubblicità di carta igienica, spuntava all’improvviso la faccia macilenta di un prigioniero di Omarka, con il corpo filiforme, mummificato, come un monito in tutta la sua nudità concava (i tedeschi almeno avevano fornito agli ebrei delle divise e non si vedeva che erano così magri), i suoi occhi febbrili sembravano fissare avidi la bistecca di vitello o l’hambuger al formaggio che avevano davanti i telespettatori occidentali, si aveva l’impressione che da un momento all’altro quei poveretti avrebbero divelto lo steccato di fil di ferro che li rinchiudeva, fatto a pezzi lo schermo del televisore e invaso il tinello degli spettatori per ingurgitare il loro pranzo, bere il loro vino, sedersi sulle loro poltrone…
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