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Il romanzo tratta del processo che si tenne davanti alla Corte d'Assise di Santamaria Capuavetere (Caserta), dal 24 febbraio al 13 marzo 1864, contro i fratelli Cipriano e Giona La Gala, Domenico Papa e Giovanni D'Avanzo. I reati che vengono loro addebitati si riferiscono a fatti avvenuti nel 1861.
Il 1861 è un anno in cui in tutto il Mezzogiorno d'Italia è in atto una grande ribellione contro l'invasione operata dai Savoia piemontesi nel Regno delle Due Sicilie. Molteplici erano le bande brigantesche in azione: in Basilicata quella di Carmine Crocco, nelle Puglie quella di Pasquale Domenico Romano, in Terra di Lavoro quella di Luigi Alonzi. Franco Molfese nella sua fondamentale "Storia del brigantaggio dopo l'Unità" individua ben 388 bande.
In questo grande sommovimento nell'ex Regno delle Due Sicilie rientrano le azioni dei fratelli Cipriano e Giona La Gala, nati a Nola, il primo nel 1834, il secondo due anni dopo. Nel 1855 i due fratelli erano stati condannati a 20 anni di carcere per un furto, durante il quale vi fu un morto. Nel 1860 i due fratelli La Gala fuggirono dal carcere di Castellamare e si diedero alla macchia diventando briganti. Cipriano formò una sua banda, che contò fino a 300 uomini.
Nel gennaio 1862 raggiunsero Roma, dove incontrarono il re in esilio Francesco II Borbone, che voleva mandarli a Marsiglia e a Barcellona per reclutare gente per una guerra di riconquista dell'ex Regno delle Due Sicilie. Si imbarcarono a questo fine sulla nave francese Aunis. Ma nel porto di Genova furono arrestati dai piemontesi. Ne nacque un incidente diplomatico, che si concluse con la restituzione dei La Gala ai francesi in un primo tempo e con l'estradizione poi dalla Francia all'Italia. Portati a Napoli per il processo, vennero condannati a morte. Condanna poi tramutata all'ergastolo.
La forma che assume il romanzo è quella diaristica, con anche una raccolta di corrispondenze giornalistiche per il giornale "L'Osservatore Romano". Autore del diario e delle corrispondenze è Paolino Amato, avvocato napoletano e corrispondente appunto dell'Osservatore Romano. Sono raccolti il racconto di nove giornate del diario e nove corrispondenze da Napoli.
La prima data del Diario di Paolino Amato è quella del 20 febbraio 1864. Vengono raccontati i preparativi della partenza da Roma. Cosa che poi prosegue nei tre giorni successivi fino all'arrivo a Napoli. Per capire lo spirito del romanzo leggiamone un brano: "Conoscere la versione del popolo m'intriga e confido possa essermi di aiuto per comprendere cos'è veramente accaduto a questa gente, cos'è che hanno reso "briganti" campagnoli tranquilli e pacifici, armato la mano di canonici e zappaterra, fatto di don Giovanni D'Avanzo un fuorilegge».
La prima corrispondenza da Napoli di Paolino Amato (che è la personificazione di Fiore Marro, l'autore del romanzo), per rendere conto del processo contro i quattro briganti dell'Aunis, è del 24 febbraio 1864. Viene interrogato il brigante Giovanni D'Avanzo. Viene fuori che i giudici hanno già deciso a priori la colpevolezza degli imputati.
Nel processo si narra anche di un presunto episodio di cannibalismo. Noi siamo certi che si tratta di una falsa accusa inventata dai piemontesi per screditare al massimo i briganti.
Il giornalista Amato sta dalla parte dei vinti ed è sicuro che prima o poi sarà fatta giustizia, si saprà la verità. «Ingiustizia è fatta», con queste parole inizia l'ultima corrispondenza.
Al titolo del romanzo a me piace dare un significato positivo. E' finito il tempo in cui i briganti e i meridionali debbono essere considerati dei vinti. I vinti non sono più vinti, stanno per diventare vincitori.
Rocco Biondi
Fiore Marro, La fine dei Vinti. Giovanni D'Avanzo: da gendarme a brigante, Società Editrice L'Aperia, Caserta 2011, pp. 64, € 10,00.
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