la fine del lavoro e il sesso al di fuori del matrimonio

Creato il 11 ottobre 2012 da Francosenia

Cambiare cavallo
di Anselm Jappe

«Quando gli artigiani comunisti si riuniscono, essi hanno primariamente come scopo la dottrina, la propaganda, ecc. Ma nello stesso tempo si appropriano di un nuovo bisogno, del bisogno della società, e ciò che sembra il mezzo, è diventato un fine. Si possono osservare il più brillanti risultati di questo movimento pratico, quando si assiste ad una riunione di operai socialisti francesi. Fumare, bere, mangiare, ecc., non sono più dei pretesti per riunirsi, o dei mezzi di unione. L'assemblea, l'associazione, la conversazione sono per loro uno scopo sufficiente; la fraternità degli uomini non è presso di loro una frase, ma una verità, e la nobiltà dell'uomo brilla sui quei volti induriti dal lavoro.»

Quando Marx scriveva, a 26 anni, i Manoscritti del 1844 - uno dei suoi testi più importanti - viveva a Parigi e frequentava le associazioni operaie dove si parlava di socialismo. Ha sempre attribuito una grande importanza a questo primo incontro con degli uomini che si proponevano in pratica di rovesciare l'ordine borghese. Nel paragrafo sopracitato, rende loro un bell'omaggio - non solo alle loro dottrine (che comincerà ben presto a criticare senza pietà), ma anche al loro spirito di fratellanza. Nella loro vita quotidiana, vivevano di già in una maniera differente rispetto alla società che intendevano combattere.
Diversi studi hanno confermato la straordinaria fertilità degli ambienti denominati "proto-socialisti", soprattutto al tempo di Luigi Filippo. Più che da "operai" in senso moderno, erano essenzialmente formati da artigiani con un senso molto sviluppato di quell'indipendenza che proveniva loro dalla memoria delle loro antiche condizioni, ora minacciate dal progresso della grande industria. Marx, in seguito, si allontanò da quello che chiamava "il socialismo dell'utopia" e da teorici come Proudhon che rimasero vicini allo stato d'animo di questi artigiani-operai. Marx, allora, preconizzava un passaggio, pressoché obbligatorio, di tutte le società, attraverso il capitalismo, per poter arrivare al comunismo. Ma, verso la fine della sua vita, si vide costretto ad ammettere di nuovo (nella sua famosa lettera a Vera Zasulic) che esistevano già delle comunità che praticavano la proprietà collettiva dei mezzi di produzione e che avrebbero potuto costituire la base del comunismo futuro: si riferiva alle comunità agrarie russe tradizionali (mir).
A parte la questione dell'importanza rivestita dalle realtà pre-moderne, alla fine di un superamento del capitalismo, ciò che emergeva è la possibilità che l'opposizione alla società borghese e capitalista possa essere portata avanti da degli esseri umani profondamente diversi da questa società, dai suoi stili di vita e dai suoi valori. Esseri che, anche se sfruttati ed oppressi da questa società, praticano già, fra di loro, quei modelli di vita che vogliono realizzare in avvenire, attraverso una lotta collettiva. Molti movimenti rivoluzionari periferici, così come buona parte del movimento anarchico, sono nati da questa modo di porsi, in modo esteriore, rispetto al capitalismo. Cosa che è stata vista come una sorta di invasione di una forza venuta da un altrove. Il movimento anarchico in Spagna che trovò il suo culmine dentro la rivoluzione del 1936, traeva la sua forza dal radicamento dentro una cultura quotidiana delle classi popolari, largamente caratterizzate da tradizioni pre-capitalistiche. Il disprezzo per la ricchezza, una volta soddisfatte le necessità di base, e l'avversione al lavoro, soprattutto al lavoro industriale, stavano a fondamento di tale mentalità. Spesso si trattava di un rifiuto di entrare nella società capitalistica, piuttosto che di uno sforzo per uscirne o per migliorarla. Più di un secolo prima, le rivolte dei Luddisti in Inghilterra avevano avuto lo stesso fine: non dover diventare operai! All'inizio della Rivoluzione industriale, i proprietari delle fabbriche inglesi constatavano con disperazione che mettere a lavorare un "highlander" (un abitante del selvaggio interno della Scozia) in una fabbrica era come "voler attaccare un cervo davanti ad un aratro."
Anche fino ad oggi, la diffusione dello stile di vita e di produzione capitalistica incontrano spesso delle forti resistenze in regioni ed ambienti che sono ancora estranei al capitalismo. Non è il caso di idealizzare tali resistenze, dal momento che difendono un ordine fortemente patriarcale e gerarchizzato, basato sul primato assoluto della comunità sull'individuo. Però, esse dimostrano che il capitalismo piò trovare delle opposizioni che non sono immanenti, vale a dire che non si pongono sul suo stesso terreno. Quel che invece ha fatto la corrente principale del movimento operaio. I socialdemocratici si sono limitati, molto velocemente ed esplicitamente, a richiedere una distribuzione più equa dei frutti della produzione capitalista. I leninisti affermavano di voler rovesciare completamente quel modo di produzione. Ma per arrivarci, dicevano, bisogna prima passare dal capitalismo, modernizzare il paese, imparare dal nemico. Come sappiamo, Lenin indicava in quello tedesco un modello per la costruzione del socialismo. Di conseguenza, sostenne l'importazione del fordismo e del taylorismo - l'«organizzazione scientifica del lavoro» - in Unione Sovietica. Nelle sue note su Americanismo e Fordismo, Antonio Gramsci, che viene spesso presentato come una delle fonti più importanti al fine di rinnovare una critica sociale alternativa al socialismo di Stato, era ugualmente entusiasta per il fordismo e per la catena di montaggio - non solo a causa della crescita della produzione che esso permetteva, ma anche per gli effetti benefici sulla vita morale degli operai. "La disciplina del lavoro”, dice Gramsci, “farà loro perdere i vizi come il sesso al di fuori del matrimonio e la pigrizia!"

Il radicalismo dei metodi impiegati, non deve farci dimenticare che i leninisti, in tutte le loro varianti, compresa l'estrema sinistra, i comunisti dei consigli ..., ed anche la maggioranza degli anarchici non si dislocano al di fuori della società basata sul valore e sulla merce, sul danaro e sul lavoro astratto. Al contrario, l'etica del lavoro è stata spesso portata fino al parossismo. La sinistra ha denunciato lo sfruttamento del lavoro e le condizioni nel quale veniva svolto. Ma ha totalmente messo da parte uno dei fondamenti della teoria di Marx: non è affatto naturale, ma caratteristica del solo capitalismo, che l'attività sociale conti soltanto, a prescindere dai suoi contenuti, in quanto semplice spesa di tempi indifferenziati -  quello che Marx chiamava "il lavoro astratto" -, che tali tempi formino un "valore" fantomatico e che quei tempi si rappresentino alla fine dentro il denaro. Esattamente come la scienza economica borghese, la sinistra, in tutti suoi Stati, considera valore e lavoro astratto, merce e denaro, come fattori eterni di ogni vita sociale - si tratta pertanto, per essa, solo di assicurare una distribuzione più giusta.
Parimenti, la produzione industriale ed il produttivismo sono stati fortemente approvati da tutte le sinistre (con la sola eccezione di una parte del movimento anarchico, di alcuni artisti, come i surrealisti, e alcuni pensatori, come William Morris).
L'identificazione della felicità con li consumo di merci, non trova che poche critiche a sinistra, prima degli anni '60, e rimane marginale anche dopo. L'occupazione progressiva, da parte della merce e del lavoro, di tutti gli spazi della vita, ha comportato la diffusione di atteggiamenti umano come l'efficienza, la velocità, la disciplina, lo spirito di sacrificio nel campo del lavoro e la concezione narcisistica del proprio ruolo nella vita.
La sinistra instancabilmente si felicità per qualsiasi "modernizzazione". In breve, le opposizioni anti-capitaliste del ventesimo secolo sono state, in larga parte, dei movimenti alter-capitalisti: delle opposizioni immanenti, che combattevano affinché la parte migliore gestisse la società del lavoro. La differenza tra "radicali" e "moderati" di sinistra riguardava la forma di intervento, piuttosto che il suo contenuto.
La fabbrica in autogestione operaia, con tutto il suo inquinamento e rivolta verso il successo sul mercato, ne è stata l'emblema.
Negli ultimi decenni, l'ecologismo e il femminismo, gli stili di vita "alternativi" e, più di recente, i movimenti come quello per la "decrescita" hanno messo in questione il modello di vita propagandato dal capitalismo industriale. Ma si sa che la rivincita della "critica artistica" sulla "critica sociale" ha degli effetti perversi: essa aiuta il capitalismo a ristrutturarsi, recuperando i suoi critici, per realizzare una gestione più flessibile, e più individualizzata, e così rimane, anch'essa e anche senza volerlo, in una prospettiva "immanente".
Ma è soprattutto nell'adorazione del feticcio-lavoro che il capitalismo ed i suoi presunti avversari dimostrano l'appartenenza al medesimo universo. Salvo qualche timida eccezione, spesso incoerente, nessuno riesce ad immaginare una società che non sia più basata sulla necessità di vendere la propria forza-lavoro per poter vivere - perfino se non si trova più nessuno che la voglia acquistare. Le tecnologie hanno rimpiazzato il lavoro umano ad un tal grado, in tutti i settori, e nel mondo intero, che il lavoro ha perso la sua forza produttiva principale. Allo stesso tempo, la produzione capitalista non ha più come fine la ricchezza concreta, ma l'accumulazione del valore - che si crea con l'impiego della forza-lavoro e che, per mezzo del plus-lavoro, genera plus-valore. E non gli importa del lavoro che crea valore, ma solo di quello che riproduce il capitale investito secondo gli standard della produttività mondiale. Ecco il motivo per il quale anche tutti quei milioni di nuovi lavoratori in Cina non riescono a rianimare un'accumulazione capitalistica ormai esangue. I profitti, ancora ottenuti da qualche attore economico, in particolare nel campo della finanza, non dimostrano assolutamente che il capitalismo, nel suo insieme, sia in buona salute.
In estrema sintesi, oggi il problema principale non è solo lo sfruttamento del lavoro (anche se esiste, ed esiste più di prima), ma il fatto che degli strati sempre più larghi di popolazione sono stati resi "superflui" per la produzione. E' ridicolo immaginare di poter dare "lavoro" a tutti i "superflui". Bisognerà, piuttosto, cominciare a immaginare una società che non utilizzi il suo potenziale produttivo per soddisfare un essere fantomatico e feticistico come il valore di mercato, ma che usi questo potenziale per soddisfare i bisogni umani.

La crisi del capitalismo è anche la crisi dei suoi avversari tradizionali. Con la fine graduale del lavoro, e quindi del valore e del denaro che ne consegue, tutte le opposizioni che vi si riferiscono, o che vogliono utilizzarlo per farne un uso migliore, perdono la loro pertinenza. Lo stesso avviene per quelli che vogliono conquistare il potere statale, al fine di utilizzarlo come leva di trasformazione emancipatrice. Per uscire dalla società capitalistica alla sua fine, bisogna separarsi da tutte le sue basi, anche dentro la testa. Questo è più difficile di quanto si possa credere, anche se la consapevolezza dell'urgenza di tale compito sembra più diffusa oggi, di quanto lo fosse una quindicina di anni fa. Tutti i membri delle società attuali sono nati e cresciuti in condizioni in cui pressoché ogni elemento della vita assume forma di merce e dove quel che si cerca si ottiene attraverso il denaro guadagnato per mezzo del lavoro (il proprio o quello degli altri; che sia lavoro presente o passato). L'idea di poter disporre di una grande quantità di denaro è evidentemente attraente, come quella di vedere utilizzare in modo migliore i fondi da parte dei poteri pubblici. Altresì, dover affrontare una svalorizzazione generalizzata del denaro e del lavoro può dare le vertigini e far paura. Però, è a partire dalla constatazione di questa nuova situazione creata dalla crisi che si può cominciare ad immaginare una società post-capitalista, che non si riduca ad essere un'altra versione di quel che già conosciamo.

Ottobre 2012

- Anselm Jappe -

fonte: http://palim-psao.over-blog.fr


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