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Recensione di questo film di sabato, perché di solito le cose narrate in un film come La Fine del Mondo (titolo originale The World’s End) avvengono al sabato di un mese qualunque, di un anno qualunque, quando si è ragazzi. Uniti, potenti e con la sensazione di poter prendere il mondo per il collo e obbligarlo a darci tutto ciò che vogliamo (cit.). Poi passano quindici, vent’anni, e probabilmente si ha la fortuna di essere ancora uniti e potenti, anche se piegati dalle mazzate della vita.
Il terzo episodio della ideale Three Flavors Cornetto Trilogy (perché si è deciso che a ogni gusto e colore del Cornetto debba corrispondere un determinato genere cinematografico da perculeggiare con classe, i primi due sono stati Shaun of the Dead e Hot Fuzz) di Edgar Wright prende le mosse dalla compagnia avventurosa e malinconica degli amici.
Cose che quasi tutti noi abbiamo provato. E questa componente malinconica, di bandiera, che ti rende forte nel gruppo contro le angherie e i nemici esterni si sente tantissimo, così tanto che nella prima mezz’ora il film prende una piega intimista abbastanza prevedibile. Cinque amici, i cinque (ma meglio tre…) moschettieri convinti dal più figo di loro che oggi è quello messo peggio secondo un’infallibile legge del contrappasso, a tentare ancora una volta l’impresa del Miglio Dorato: dodici pinte di birra per dodici pub, tutto in una sera. Fino alla Fine del Mondo, il World’s End, nome dell’ultimo pub.
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I cinque sono Gary King (Simon Pegg), Andy Knightley (Nick Frost), Peter Page (Eddie Marsan), Steven Prince (Paddy Considine) e Oliver Chamberlain (Martin Freeman).
King
Knightley
Page
Prince
e Chamberlain
Tutte figure legate alla mitologia cavalleresca. Per una notte ordinaria ma che, quando si è insieme, assume connotati fantastici.
Poco importa che gli eventi siano reali o meno, lo sono per chi li vive: sedimentano nella memoria, assumono sfumature mitologiche.
Ma questo è cinema fantastico, e il mondo reale fatto di obblighi, convenzioni sociali e giudizi espressi a mezza bocca è noioso, per cui può succedere davvero di tutto, persino un’invasione aliena scaturita da una rissa al bagno dell’ennesimo pub, con la testa dell’adolescente che hai picchiato per dargli un po’ d’educazione che si stacca e comincia a spruzzare sangue blu.
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Inutile stare a dirvi quanto possa essere divertente questo film. Dovete vederlo per capire. Personalmente, l’ho trovato molto più divertente di Shaun of the Dead, anche se giudizi come questo lasciano il tempo che trovano. Tanto divertente, e lo diviene all’improvviso, quanto malinconico all’inizio, pur con l’onnipresente sdrammatizzazione. E ricordiamo che, spesso, coloro che fanno ridere di più sono anche quelli che di più hanno sofferto.
Ma è cinema, dicevo. E quindi Edgar Wright si permette di inserire una serie di chicche e di svuotarle come il caricatore di un M16:
Gary King fa delle profezie, quando parla in auto dei cinque moschettieri, ce ne sono due in più
I nomi dei pub, The First Post, The Old Familiar, The Famous Cock, The Cross Hands, The Good Companions, The Trusty Servant, The Two Headed-Dog, The Mermaid, The Beehive, The King’s Head, The Hole in the Wall, The World’s End annunciano, coi loro nomi, il contenuto delle scene che il gruppo di amici si trova a vivere
Pierce Brosnan e Rosamund Pike sono le “tracce di James Bond”, entrambi hanno partecipato a Die Another Day, altro titolo evocativo
Gli antagonisti hanno gli occhi e la bocca luminosa, e mi hanno ricordato due film che adoro: La Cosa di John Carpenter, in special modo la locandina, e Grosso Guaio a Chinatown, sempre di Carpenter, quando Lo Pan acceca Jack Burton.
E queste sono solo alcuni degli omaggi sparpagliate per tutto il film. A voi trovare gli altri.
Il Miglio Dorato
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Questo per dire che l’operazione Fine del Mondo è portata avanti con serietà e gusto impareggiabili. Il cast affiatato, Simon Pegg e Nick Frost sono ormai una coppia insostituibile, non fa altro che rendere l’esperienza più gratificante.
Voglio dire, sono sempre loro, il volto di Gary King/Simon Pegg lo rivediamo persino nell’insegna del decimo pub, The King’s Head, ma son sempre diversi. Pegg/king è un fallito, sì, diciamolo, anzi, più che fallito un paria. Spaventoso dirlo, ma se devo scegliere uno dei cinque con cui identificarmi, è lui quello che mi somiglia di più, quello che vuole vivere la vita come fosse un’avventura, sempre e comunque, insofferente al sistema. E la cosa mi atterrisce, non crediate.
Nick Frost è il perfettino che tiene chiuso dentro di sè il dolore, ma è anche il protagonista di una rissa epica, a dir poco..
Gli altri sono impiegatucci di vario genere, ognuno sfoga l’età adulta a modo suo. Come fosse una brutta fase.
Credo sia stato su tumblr che ho letto una frase spettacolare che da sola riassume, anche se involontariamente, questo film: l’età adulta è uguale all’asolescenza, l’unica differenza è che ci sono i mutui da pagare.
Mi pare perfetta.
In più, la lotta senza quartiere che si scatena come rifiuto dell’ordinarietà dell’esistenza, con gli amici ingabbiati quasi strappati via dalla loro misera vita e trascinati in un universo parallelo, ma che è il nostro, solo insabbiato, una specie di Isola Che non C’è, gli alieni sono reali e i problemi si ridimensionano e dove, soprattutto, si diviene ancora una volta padroni del proprio destino; sembra quasi manifesto dell’esigenza creativa, quel fantastico che c’è in ognuno di noi, che pretende quasi di uscire al sabato e di scoprire che il mondo non è così stronzo e anonimo e indifferente come appare.
Insomma, guardatelo e godetene.
Nel frattempo, vi regalo gli undici pub rimanenti… enjoy.