di Pierluigi Montalbano
Le fonti ufficiali sono scarne sugli avvenimenti riguardanti i popoli del mare, pertanto abbiamo pensato di analizzare un recente documentario realizzato dalla rete televisiva BBC, e diffuso attraverso History Channel, per cercare di fare chiarezza su quel periodo.
I catastrofici avvenimenti negli anni a cavallo del 1200 a.C. causarono una sorta di fine del mondo imperiale. Scomparvero le più grandi civiltà del tempo e migliaia di persone morirono o furono costrette ad abbandonare città e villaggi. Il sistema crollò nel giro di due generazioni, ma ancora non c’è chiarezza sugli eventi che provocarono quel disastro.
Il mondo civilizzato del Bronzo Medio si estendeva dall’Egitto al Mar Nero, con popolazioni dominate da re. Minoici e Micenei costruivano palazzi nelle isole egee, in Grecia e a Creta. Il faraone Ramesse II edificava i suoi templi trasformando il paesaggio egizio. I bellicosi ittiti dominavano l’odierna Turchia e il nord della Siria, mentre i Cananei, antenati dei futuri mercanti delle rotte commerciali navali, controllavano quella che, successivamente, sarà chiamata Terra Santa.
Era un mosaico di regni diversi tra loro per cultura e per struttura sociale. Quando gli archeologi, intorno al 1930, iniziano gli scavi in quest’area, scoprono evidenti tracce di una serie di eventi catastrofici che causarono la distruzione di gran parte delle città e dei palazzi. La devastazione si estende in ogni angolo dell’area, e il periodo del crollo è cronologicamente attestato nei decenni a cavallo del 1200 a.C.
Spariscono i micenei, i minoici, gli ittiti e i cananei, e l’Egitto esce da quel periodo fortemente indebolito. L’epoca di Ramesse II, all’inizio del XIII a.C., è prospera e vengono innalzati edifici fra più belli della storia. Successivamente l’economia, la struttura sociale e la religione si avviano verso il declino. Dopo poche generazioni, durante il regno di Ramesse III e fino all’inizio del XII a.C. si riscontra una forte inflazione, i monumenti diventano più piccoli, e si registrano gravi problemi economici in relazione alla base imponibile perché ampi lembi di terra tassabile sono stati eliminati dai registri catastali.
Dopo un secolo di progresso che vede lo sviluppo della prima scrittura alfabetica a Ugarit poco prima del 1300 a.C. i documenti scritti si interrompono e inizia un’età oscura. Gli egiziani si rivolgono agli Dei con preghiere di supplica alle divinità, mentre in Grecia abbandonano la scrittura. Gli architetti dimenticano come si costruiscono i grandi edifici e le genti che popolano il Vicino Oriente impiegano quasi 4 secoli per uscire da questo blocco culturale. Solo intorno all’800 a.C. gli euboici risollevano la testa dal baratro inaugurando una nuova epoca di navigazioni.
Senza testimonianze scritte gli archeologi non riescono a spiegare le migrazioni di massa risalenti al 1200 a.C. Sull’isola di Creta i mercanti e gli artigiani abbandonano la costa per spostarsi nell’entroterra, fino alle regioni montagnose del centro dell’isola, popolate da contadini e pastori. Nell’istmo settentrionale, pare che nel periodo miceneo non ci fossero insediamenti importanti, ma solo un ridotto numero di piccoli villaggi poco popolati. Nel XII a.C. si assiste a un incremento demografico, ma non è chiara l’origine di queste genti. Le città devastate che si lasciano alle spalle testimoniano che il loro esodo non è stato pacifico.
È difficile determinare le cause degli eventi. Negli scavi si cerca ciò che è andato distrutto: tracce di incendi, cenere, legno bruciato e ossa, ma ancora non si è capito il motivo di questa catastrofe. Forse le cause non vanno cercate fra le macerie dei palazzi, ma nelle montagne che li sovrastano. Alcuni archeologi hanno ripercorso i sentieri che portano sulle vette dell’Egeo, seguendo le tracce lasciate dai sopravvissuti. In precedenza, nelle montagne e valli dell’Egeo pastori e contadini coltivavano orzo, lenticchie e ulivi.
Nell’estate del 1983 un archeologo polacco ventiseienne, Krzysztof Nowicki, si arrampica sul monte Karfi, sull’isola di Creta. Vuole studiare un altare costruito sulla sommità del monte nel periodo neolitico, ma a 1300 metri di quota è attratto dalle rovine di un villaggio scoperto negli anni Trenta dall’archeologo John Pendlebury, il quale abbandonò gli scavi dopo aver dedotto che il clima era troppo rigido e, quindi, l’insediamento era stagionale.
A Nowicki le rovine composte da grandi blocchi di pietra sembrano ben costruite, a dimostrazione che si trattava di un insediamento permanente realizzato da genti che intendevano vivere a lungo nel nuovo villaggio. La ricostruzione del sito, ottenuta dalla pianta ricomposta con gli scavi, conferma i sospetti del giovane archeologo. Nowicki trova 30 case in pessimo stato di conservazione, tuttavia distingue le pareti e le singole stanze. Quello di Karfi era un grosso villaggio abitato da qualche centinaio di individui.
Il centro, sorto a 1300 metri sul livello del mare, non è idoneo alla sopravvivenza perché in inverno è ventoso e gelido, pertanto bisogna capire per quale motivo queste famiglie si trasferirono lassù, organizzando di sana pianta un nuovo sistema economico.
La datazione al carbonio effettuata da Nowicki sul vasellame colloca il villaggio all’epoca delle grandi catastrofi del 1200 a.C. mentre precedentemente la popolazione viveva nelle pianure e nelle valli, in prossimità della costa.
Poco prima del 1200 a.C. molti insediamenti al livello del mare furono distrutti o abbandonati, ma non è chiara la causa di questi cambiamenti radicali. La maggior parte delle teorie si fonda sulla minaccia di un disastro naturale. Alcuni ipotizzano la serie di migrazioni con una grave siccità che avrebbe interessato tutta l’area dell’Egeo e del Mediterraneo orientale. Un’altra possibilità sono i violenti terremoti che sconvolgono questa regione con regolarità. Effettivamente gli archeologi confermano che alla fine del tardo Bronzo, nell’arco di 50 anni, varie città nell’Egeo e nel Mediterraneo orientale furono indebolite da una sequenza sismica: parliamo di Micene, Troia IV, Ugarit e Megiddo, in Israele.
Un terremoto a volte non basta a liberare tutta l’energia della faglia, ma ne sprigiona solo una parte. Quella successiva sarà liberata più tardi e allora la faglia si aprirà da est verso ovest o da nord verso sud, e alla fine avremo una sequenza sismica. Molte città distrutte dai terremoti si trovano sulla linea di faglia, oppure in zone ad alta densità sismica. In effetti se sovrapponiamo una carta geografica delle città devastate nel Tardo Bronzo, con le zone ad alta sismicità, troveremo una corrispondenza impressionante.
Tuttavia le comunità si riprendono rapidamente da eventi simili, anche se ripetuti nel tempo ma, secondo Nowicki, nessun evento naturale può spiegare il motivo per cui una popolazione si trasferisce in un luogo ancora più inospitale, su una cima a 1300 metri di quota. Generalmente dopo un evento naturale la gente non fugge ma cerca di ricostruire il luogo dove abitava.
Per Nowicki questi luoghi selvaggi rappresentano un rifugio ideale, in grado di offrire protezione da un popolo nemico dal quale si è minacciati. Se questa teoria fosse vera dovrebbero trovarsi sui pendii di Creta decine di rifugi ancora da scoprire: insediamenti nascosti e dimenticati da secoli. Se gli archeologi li portassero alla luce ci rivelerebbero dettagli sulla lotta per la sopravvivenza dei superstiti, costretti a cercare scampo da quel temibile nemico. Ma se così fosse, un popolo invasore avrebbe cancellato dalla storia molte grandi culture nello spazio di appena una generazione.
Per decenni gli archeologi passano al setaccio decine di siti ma raccolgono solo qualche traccia. Tuttavia negli anni Trenta, tra le rovine del palazzo di Ugarit distrutto da un incendio intorno al 1200 a.C., viene rinvenuta una tavoletta di pietra con scritto un messaggio disperato del re di Ugarit che preannuncia un disastro imminente: “Padre mio, sono state avvistate 7 navi nemiche. Hanno già arrecato grave danno alla mia terra. Se scopri qualcosa ti prego di farmelo sapere”.
La tavoletta non è mai stata spedita, gli archeologi l’hanno trovata nel forno pronta per essere cotta. Quelle navi sono evidentemente tornate indietro e hanno messo a ferro e fuoco la città.
Solo una civiltà, l’Egitto, sopravvive al collasso avvenuto alla fine del Bronzo, lasciandoci il nome di quei nemici citati nelle tavolette. Antichi geroglifici parlano di un avversario terribile: i guerrieri noti come “Popoli del mare”. I dettagli sull’aspetto e sui mezzi di trasporto di queste genti ci arrivano dai testi che compaiono sulle pareti dei monumenti egizi e dalle rappresentazioni pittoriche. Possiamo osservare i loro elmi, il tipo di acconciature, e notiamo che si spostavano insieme alle famiglie con carri trainati da buoi. Si trattava di una migrazione di massa.
Le civiltà travolte dal loro passaggio furono costrette a fuggire e rifugiarsi nelle alture perché i nuovi arrivati si insediarono nei territori dopo averli depredati. Verosimilmente il sito montano di Karfi non fu un’anomalia ma un esempio dell’evacuazione d'insieme di un popolo. A Karfi si notano cime ripide, pericolosi strapiombi e appigli scavati nella roccia. Poco distante da Karfi, in una cima rocciosa, l’archeologo polacco scopre l’insediamento di Katalimata, raggiungibile arrampicandosi lungo la parete rocciosa della montagna e percorrendo un sentiero invisibile dal basso.
Nel 1990 gli archeologi Nowicki e Haggis si inoltrano nella gola alla quale si accede dopo la scalata. I manufatti ritrovati nel sito indicano il sistema di vita della gente che abitò lassù. I contadini e pastori dell’entroterra trasportarono tutte le loro proprietà lungo questi sentieri di montagna. I vecchi e i malati furono trasferiti di peso, e le grotte scavate nella montagna accolsero i defunti.
Le tracce raccolte dimostrano che il luogo fu abitato per molto tempo, nonostante non sia idoneo allo sviluppo di una comunità. Nonostante le condizioni proibitive, Katalimata assicura protezione perché senza una profonda conoscenza della topografia locale è un luogo difficile da individuare. Sfruttando la conformazione del terreno, gli abitanti costruirono efficaci fortificazioni.
Se un nemico si avvicinasse via mare o via terra, sarebbe visibile da chilometri di distanza, dando il tempo ai residenti di organizzare la difesa. Inoltre gli invasori sarebbero costretti a procedere in fila indiana, e durante la scalata lungo la parete non potrebbero impugnare le armi. Un pugno di difensori sarebbe stato in grado di sbarrare il passo ad un esercito di nemici.
Qualche anno dopo la scoperta di Katalimata, l’archeologo polacco individuò sulle montagne di Creta altri 60 insediamenti risalenti al 1200 a.C. Tutti i siti hanno in comune l’orientamento e la struttura, non sono protetti da attacchi che arrivano dalle montagne, e questo convince Nowicki che il nemico arrivava dal mare.
Nel 1180 a.C. il faraone Ramesse III racconta di aver fermato i popoli del mare, i misteriosi guerrieri che, secondo alcuni studiosi, avrebbero distrutto i grandi imperi del mondo antico. L’Egitto sopravvive, e saranno proprio gli egizi a tramandarci la prova più interessante sull’identità di questi predoni. In un memoriale scolpito nel tempio di Medinet Habu (Tebe), gli egizi identificano 9 gruppi dei popoli del mare. Le teorie sulla provenienza di questi guerrieri sono fondate sui nomi delle varie fazioni e si ritiene che ogni gruppo giungesse da luoghi sparsi nel Mediterraneo, o che si stabilì in quei luoghi dopo gli eventi.
Sono ormai decenni che i nomi dei popoli del mare dividono la comunità scientifica. Alcuni studiosi indicano come probabili basi di partenza la Turchia sud-orientale, il nord della Siria o il Mediterraneo orientale. Altri illustri autori affermano che partirono dalla Sardegna, dalla Sicilia e dalle regioni dell’Italia meridionale. Secondo altri ricercatori il mondo antico era vulnerabile ad attacchi dall’interno, soprattutto a causa della sua struttura fondata su corti e re che controllavano ogni cosa.
Esistevano dei mercanti, ma era il monarca a governare il paese: comandava l’esercito, gestiva il commercio internazionale e controllava la vita quotidiana dei sudditi. In molte realtà, pare che i re e le regine vivessero accanto agli dei e, in effetti, erano considerati i loro rappresentanti sulla terra. Al di sotto si trovavano tutti gli altri, il cui unico ruolo era quello di assecondare tutti i desideri delle divinità e del monarca.
Nelle immagini: il carico del relitto di Ulu Burun (sud Turchia) affondato nel 1350 a.C. circa.