Una notte di Ottobre del 1789 un folto gruppo di cittadini, carico delle idee ed i sentimenti di un’intera nazione, marció da Parigi a Versailles senza tornare indietro fino a che non ebbe rimosso dal trono, con la forza, una classe di monarchi incapace di gestire i problemi del paese; la nazione soffriva di una completa destabilizzazione dei livelli della societá, di un’economia distrutta da una pessima gestione del patrimonio nazionale, di un livello di tassazione inadeguato ed ingiusto verso i cittadini, ed alla direzione della nazione sedevano ricchi nobili che si interessavano esclusivamente dei propri bisogni ed interessi. Nel giro di tre anni la classe feudale, nobile e religiosa venne pesantemente o completamente privata dei propri privilegi, lo stato si avvicinó ad un modello di uguaglianza sociale, politica ed economica; la chiesa — la cui influenza sulla pubblica opinione e sulle istituzioni le permetteva l’esenzione dal pagamento delle tasse ed un possiedimento di circa il 10% dei terreni dello stato — venne ridotta al livello di un’azienda statale, e lo stato viró verso una societá di tipo secolarista.
Il dispiacere nel vedere che, nel 2010, uno stato che si trova in simili condizioni ancora non trovi il coraggio di riprendersi in mano il potere é francamente disarmante ed al tempo stesso curioso.
Da un lato, noterá qualcuno, gli italiani non sono ancora alla canna del gas e, pur con un debito pubblico ad un passo dalla bancarotta, il malcontento é per ora esclusivo delle fascie di reddito basse; dall’altro lato, semplicemente osservando oltreoceano, un popolo in condizioni decisamente migliori é sufficientemente consapevole ed esigente da dichiarare all’uomo che ha introdotto la copertura sanitaria nazionale in America che sta per essere spedito a casa perché “anche se con la sanitá hai fatto un buon lavoro, il nostro primo interesse erano i posti di lavoro e la sanitá veniva solo seconda”.
Coraggio nasce da consapevolezza: ma all’Italia manca sia la consapevolezza dell’America del 2010, sia il coraggio della Francia del 1789.
Anche ove l’informazione sugli avvenimenti di attualitá é carente o manipolata e giustifica in qualche modo l’ignoranza, l’italiano manca comunque dell’autostima necessaria al rendersi conto di quanto merita; un qualsiasi cittadino europeo, credente in un’idea chiamata democrazia, difficilmente investirebbe il proprio voto in un leader provato per essere un corruttore di giudici, un manipolatore di istituzioni pubbliche, un legislatore ed usufruttuario di leggi ad personam, un falso, un amico di mafiosi, un noto perseguitore dei propri interessi sopra quelli degli altri; uno qualsiasi di questi elementi sarebbe sufficiente a rimuovere la compatibilitá non solo del candidato, ma del partito che lo ospita, verso un qualsiasi ruolo di peso istituzionale, indipendentemente dal partito o dal candidato. L’Italia non possiede putroppo l’autostima per comprendere quanto ci sia di sbagliato in questi elementi, ed é anzi convinta che si trattino di indici di ammirevole destrezza politica (se si fosse voluto eleggere un imprenditore onesto a capo del paese si sarebbe potuto propendere per, chessó, Mario Moretti Polegato).
Invece si é deciso che la persona piú adatta al ruolo é quella che arriva al numero uno barando, eliminando la concorrenza con il fango, controllando l’informazione; per questo compito, nessuno meglio di Silvio Berlusconi: altrimenti non si spiegherebbe come mai da settimane gli italiani non si dilettino in nient’altro che farsi intrattenere dalle fotografie di ballerine e menestrelle che per denaro avrebbero messo il regale salsicciotto in forno (ossia la cosa meno grave che Berlusconi abbia fatto da quando é in politica) come se tutto il problema vertesse attorno alla faccenda morale; fa invece poca o nessuna notizia quello che dovrebbe essere vero motivo di scandalo: il fatto che un primo ministo abbia fornito ad una istituzione pubblica informazioni false per ottenere il rilascio di una persona sotto indagine allo scopo di ottenere un beneficio personale, ammettendo il fatto pubblicamente, vantandosene, e rifiutandosi di vederne il problema.
Ci si fa polverone di polemiche su barzellette razziste, battute antisemite, esternazioni omofobe, corna in foto di gruppo ed altre uscite di questo genere, e nessuno ha niente da dire sul muro di problemi e di contraddizioni che questa persona porta sulle spalle ogni volta che si aggira in un un’istituzione pubblica. Come se ci si potesse comportare legalmente male e moralmente bene. Come se l’Italia avesse piú problemi con il fatto che il presidente paghi una puttana piuttosto che un giudice.
L’italiano non sa niente e da questo punto di vista la fine di Berlusconi non porterá niente: Berlusconi rappresenta quello che gli italiani vogliono vedere, ed alla sua caduta verrá eletta la persona che si saprá dimostrare piú simile a quello che gli italiani vogliono vedere. E’ ingenuo sperare che con la fine di Berlusconi coincida l’inizio del nuovo rinascimento italiano, esattamente come é ingenuo pensare che con la fine dell’era berlusconiana coinciderá l’interesse delle masse verso la questione del conflitto di interessi, verso la fedina penale pulita all’interno dei partiti, verso la questione morale — tutte cose delle quali non é mai stato visto un problema negli ultimi 15 anni con Berlusconi in carica, figuriamoci senza.
I ricchi resteranno ricchi, i poveri resteranno poveri, i furbi resteranno furbi; ma la vera rivoluzione, di cui l’Italia avrebbe tanto bisogno, si profila sempre in lontananza, ben oltre la caduta dell’uomo chiamato Silvio Berlusconi.