Magazine Curiosità
“La più bella e profonda sensazione che noi possiamo provare è la sensazione del mistico. E questo misticismo è ciò che sta alla base di tutta la vera scienza. Se esiste un concetto come quello di Dio, allora è un sottile spirito, non l'immagine dell'uomo che così tanti hanno fissata nella loro mente. Nella sua essenza, la mia religione consiste in un'umile ammirazione per questo infinito e superiore spirito che rivela se stesso nei minimi dettagli che noi siamo capaci di percepire con le nostre deboli e fragili menti”.
A. Einstein
Il termine "mente" viene comunemente utilizzato per designare quelle funzioni superiori del cervello di cui si può avere una coscienza soggettiva di diverso grado come ad esempio la personalità, il pensiero, la ragione, la memoria, l’intelligenza, la volontà e l’emozione. Nel mondo occidentale le prime teorie sulla costituzione della mente e sul suo funzionamento sono risalenti ai filosofi dell’Antica Grecia.
Tenendo presente che il cervello ancora oggi, per la scienza, presenta molti aspetti enigmatici, possiamo dire che lo stesso vale per la mente. La polemica intorno a quali siano gli attributi umani che la costituiscono è ancora molto accesa. Alcuni sostengono che essa sia costituita soltanto dalle più alte funzioni intellettive, quali ad esempio la ragione e la memoria, mentre le emozioni avrebbero una natura più primitiva e soggettiva che andrebbero pertanto distinte dalla natura propria della mente. Altri sostengono invece che l’aspetto razionale di una persona non può essere distinto da quello emotivo e che essi non solo condividono la stessa natura ma vanno entrambi considerati come appartenenti alla mente dell’individuo. Ciò su cui si sono trovati tutti d’accordo è sulla condanna dell’uso improprio del termine quando viene usato come sinonimo di pensiero. Il pensiero sarebbe un processo mentale grazie al quale l’uomo si crea una raffigurazione del mondo, permettendogli di agire secondo quelli che sono i suoi fini, desideri ed ambizioni. Esso implica l’elaborazione di informazioni acquisite al fine di dar luogo a concetti concreti o astratti da utilizzare per prendere decisioni.
Fino ad oggi la fisica non si è mai occupata seriamente di tali argomenti, nessuno ha tentato un serio approccio fisico allo studio della mente, ritenendola secondaria rispetto alle entità fisiche fondamentali, e pertanto rimasta di esclusiva pertinenza delle scienze biologiche.
In seguito allo sviluppo della meccanica quantistica, in considerazione del principio di indeterminazione di Heisenberg e dei alcuni dei paradossi che abbiamo già visto, alcuni fisici, hanno iniziato a chiedersi se la questione della mente potesse avere relazioni con la fisica moderna. La ricerca di spiegazioni sul tema della coscienza ha portato presto alla consapevolezza che l’attività mentale è dovuta a processi chimici e fisici che avvengono nel cervello e nel sistema nervoso, a livello molecolare, atomico e subatomico, cioè a livelli descritti dalla meccanica quantistica
In base alla rielaborazione di precedenti ricerche di carattere anestesiologo e neurofisiologico si è ipotizzato che i processi cerebrali come la coscienza o la consapevolezza dovessero essere collegati ad un preciso fenomeno fisico noto con il nome di “coerenza quantistica”. L’esempio che possiamo proporre senza doverci dilungare inutilmente è quello sulla corrente elettrica che, quando scorre all’interno del cavo di metallo trova una certa resistenza, tecnicamente viene denominata “impedenza” e misurata in “ohm”. La “coerenza quantistica” è quel meccanismo fisico per cui alcuni metalli portati a bassa temperatura manifestano il fenomeno della superconduttività: conducono l’elettricità senza opporre resistenza. Una corrente immessa in una spira superconduttrice scorrerebbe per un tempo infinito. Il segreto di questo fenomeno è che gli elettroni che trasportano la corrente elettrica si muovono coralmente, in modo coerente, come se fossero una unica gigantesca particella, una specie di macro-entità.
Una situazione simile ma con condizioni ambientali ovviamente diverse avverrebbe anche a livello cerebrale. Il cervello umano è costituito da miliardi di neuroni che rappresentano la cellula fondamentale del sistema nervoso, i quali a loro volta sono costituiti da migliaia di microtubuli, composti a loro volta da enti ancor più piccoli chiamati tubuli.
Quando questi raggiungono lo stato di massima “eccitazione coerente”, l’uomo passa dallo stato di pre-coscienza allo stato di coscienza. Come gli elettroni nella superconduttività si muovono simultaneamente permettendo alla corrente di fluire senza ostacoli, così la globalizzazione della coerenza tra i tubuli cerebrali permette il verificarsi del processo cognitivo.
Il tempo di passaggio da una fase all’altra con la conseguente attivazione del segnale motorio che consente ad esempio di muovere una gamba, dura frazioni di secondo. Il susseguirsi di tali transizioni dal un livello minimo ad un livello massimo di coerenza dei tubuli, costituisce quello che possiamo chiamare il “corso della coscienza” e come conseguenza la percezione dello lo scorrere del tempo. Le caratteristiche peculiari che emergono dall’applicazione della formula di coerenza quantistica sono sostanzialmente due. La prima è che il processo cosciente non può essere più frutto dell’attivazione di una singola area del cervello ma deve scaturire dalla azione concertata in un gran numero di zone. L’oscillazione coerente dei tubuli interessa infatti la maggior parte del cervello e provvederebbe egregiamente a quel collegamento globale essenziale per l’estrinsecazione dell’atto mentale. La seconda delle conseguenze è che i processi cerebrali non potranno mai essere pienamente simulati da un calcolatore poiché non segue la logica deterministica dove ad ogni azione deve sempre corrispondere una reazione. La coerenza quantistica alla base dei processi cerebrali deve sottostare alle leggi della Meccanica Quantistica le quali prevedono che qualsiasi sistema a loro soggetto debba sempre manifestare un certo grado di indeterminazione, di imprevedibilità e quindi segue una logica diversa. In altre parole l'aumento del grado di coerenza dei tubuli che deve condurre dallo stato di pre-coscienza allo stato di coscienza, può fermarsi o accelerare spontaneamente cosa che un computer non potrà mai simulare!
Queste caratteristiche in ogni caso sembrano ben adattarsi al controllo dei processi mentali come gli stati emozionali che non sono, per loro natura, razionalizzabili o l’unicità dei processi cognitivi: recenti studi di neurobiologia hanno demolito le ipotesi secondo cui si avrebbe nel cervello una localizzazione ben definita delle funzioni deputate alla coscienza o al controllo dell'attività sensitiva. Tali funzioni andrebbero invece attribuite al cervello nel suo insieme, il quale, attraverso una fitta rete di sistemi interconnessi, controllerebbe ogni attività. Quelle aree che si ritenevano sede delle funzioni cerebrali avrebbero la funzione di motorino d’avviamento, di originare il primo impulso al fine di accendere il motore ossia attivare l’atto mentale o sensitivo che viene gestito dalla globalità degli enti celebrali.
Quando il cervello elabora i pensieri
Lo spazio tra le sinapsi è simile allo spazio di cielo fra la tormenta e la terra, dove si sono addensate nubi minacciose. Gli impulsi elettrici che si agitano al loro interno sembrano fulmini che colpiscono il suolo. Il cervello non riconosce la differenza tra ciò che vede nell’ambiente e ciò che ricorda di vedere. Alcuni esperimenti scientifici dimostrano che se prendiamo una persona, colleghiamo il suo cervello ad una macchina tomografica e gli chiediamo di guardare un determinato oggetto potremmo notare che certe zone del cervello si illuminano. Se si chiede poi al soggetto di chiudere gli occhi e di immaginare il medesimo oggetto, osserveremo nuovamente le stesse zone del cervello illuminarsi. La prima domanda che si sono posti gli scienziati non poteva che essere una: chi vede concretamente?...il cervello o gli occhi?...e che cosa è realtà, ciò che vediamo con il nostro cervello o ciò che vediamo con i nostri occhi? La verità è che il cervello non sa riconoscere la differenza tra quello che vede e quello che ricorda perché in entrambi i casi si attivano le stesse reti neuronali.
Allora riformuliamo la domanda: cosa è la realtà?
Noi percepiamo qualcosa solo dopo che viene riflessa dallo specchio della memoria. E’ un grande problema filosofico che dobbiamo affrontare nei termini di ciò che la scienza può dire sul nostro mondo individuale, considerando che siamo sempre noi, in ultima analisi, gli osservatori della nostra realtà. Il nostro limite deriva da ciò che il cervello umano ci permette di vedere o percepire, pertanto è possibile pensare che il tutto sia una grande illusione e che non ci sia davvero la possibilità di vedere esteriormente a noi. Il cervello non conosce la differenza tra ciò che succede “fuori” e ciò che ti succede “dentro” e non esiste un “fuori” indipendentemente da ciò che succede “dentro”ossia nel cervello.
Ci sono molte più alternative di quanto normalmente si creda rispetto a come può essere la realtà della vita e che dipendono dagli effetti quantici di basso livello che sono sempre presenti. Veniamo bombardati da quantità enormi di informazioni che processiamo continuamente; entrano nei nostri organi sensoriali, vengono elaborate e in parte anche eliminate. Tutto quello che emerge allo stato cosciente è soltanto ciò che è indispensabile. Il cervello processa 400 miliardi di informazioni al secondo ma siamo consapevoli solamente di 2000 di esse, che si limitano a relazionarsi all’ambiente al nostro corpo e al tempo.
Gli occhi sono come lenti, ma l’organo che realmente “vede” è la parte posteriore del cervello chiamata “corteccia visuale”. È certamente un’affermazione importante, eppure basta pensare ai risultati di una ricerca condotta presso il Laboratorio del Sonno presso l’Università di Lisbona, secondo la quale anche i non vedenti dalla nascita hanno sogni che si manifestano attraverso figure umane in movimento, paesaggio, oggetti e colori. I nostri occhi sono come una telecamera che durante la ripresa registra sempre molte immagini senza porre obiezioni e giudizi su ciò che vede. Quelle però non sono le immagini che noi vediamo bensì quelle che il cervello ha selezionato per noi! Per essere più chiari diciamo che tutto ciò che registriamo con i nostri sensi e soprattutto con la vista non ci viene proposto in anteprima ma viene inviato al cervello il quale crea una proiezione olografica di ciò che abbiamo visto.
Qual è la differenza?
La differenza è che i nostri occhi registrano più di quello che il nostro cervello è in grado di proiettare coscientemente. Quel che avviene e una specie di selezione e taglio delle in formazioni per cui tendiamo a vedere solo ciò che crediamo possibile e processiamo schemi che già risiedono in larga parte dentro di noi. Tutte le altre informazioni vengono immagazzinate nei profondi ed ampi magazzini del subconscio dal quale, tuttavia, non sappiamo ritirarli fuori.
Per comprendere meglio il concetto possiamo ricordare l’affascinante storia degli Indios americani che all’ avvicinarsi delle navi di Cristoforo Colombo non riuscirono a vederle poiché erano qualcosa di totalmente nuovo e diverso da tutto ciò che conoscevano. Le navi erano presenti all’orizzonte ma loro dalla spiaggia non poterono vederle. Il motivo risiedeva nel fatto che non avevano alcuna conoscenza nel cervello, nessuna esperienza del fatto che esistessero le caravelle. Lo sciamano iniziò a notare che nell’oceano c’erano strane onde ma neanche egli vide alcuna nave. Cominciò a domandarsi che cosa stesse causando quello strano effetto e si avvicinò ripetutamente alla costa guardando e riguardando. Fu solo dopo un certo periodo di tempo che riuscì a vederle ; dopo averle viste andò ad avvisare gli altri della loro presenza ed allora, gli altri, confidando e credendo in lui riuscirono a avvistarle.
Ne abbiamo già parlato nel primo capitolo, ma anche, qui parlando del cervello, possiamo notare come l’immaginazione costituisca uno tra i primi elementi fondamentali di cui l’uomo non può assolutamente privarsi se il suo fine è la conoscenza di sé e di ciò che lo circonda!
Immagini, pensieri, emozioni
Quando il cervello elabora i pensieri come abbiamo visto, scatena una vera e propria tempesta: la neurofisica l’ha rilevato nei quadranti del cervello. Esso tuttavia non riconosce la differenza fra quello che vede nell’ambiente e quello che ricorda, come ad esempio le emozioni, perché in entrambi i casi entrano in gioco le stesse reti neuronali. E’ costituito da minuscole cellule nervose chiamate neuroni che hanno sottili ramificazioni che si estendono e si connettono con altri neuroni per formare le reti: in ogni punto ove si connettono è incamerato un pensiero o un ricordo.
Uno dei suoi compiti è quello di archiviare e ricostruisce i concetti secondo la legge della memoria associativa. Ciò significa che ogni idea, pensiero e sentimento immagazzinato nelle reti neuronali ha una possibile relazione con qualsiasi altro.
Ad esempio, il concetto e il sentimento dell’amore, immagazzinati nella rete neuronale, vengono ricostruiti a partire da molte altre idee. Chi ha sofferto per amore associa all’amore la delusione, e quando pensa all’amore sperimenta il ricordo del dolore, la pena, il dispiacere o l’ira. Qualunque di queste emozioni può legarsi alla sofferenza provata a causa della persona amata e di riflesso al concetto di amore.
L’uomo organizza continuamente dei modelli del mondo esterno e più informazioni aggiunge più affina il modello; ma il modello l’ha creato lui!
Per dirla in poche parole noi ci raccontiamo delle storie su ciò che riteniamo essere il mondo e qualsiasi informazione processiamo, qualsiasi indicazione assorbiamo di esso è sempre interpretata in base all’esperienza che abbiamo avuto e alle emozioni che abbiamo provato. Il nostro concetto di realtà è fondamentalmente emozionale, tanto da non poter sciogliere il dilemma per sapere se noi siamo le emozioni o le emozioni sono noi.
Tutte le emozioni sono sostanze chimiche, impresse olograficamente la cui funzione primaria è di rafforzare chimicamente la memoria a lungo termine e vengono sintetizzate nella farmacia più sofisticata dell’universo che si trova proprio nella testa: una fabbrica chiamata ipotalamo.
È lì che vengono assemblate le sostanze chimiche che danno vita alle emozioni che sperimentiamo: delle proteine chiamate peptidi composte da piccole sequenze di amminoacidi. Fondamentalmente il corpo umano è una unità di carbonio che si struttura fisicamente fabbricando venti diversi amminoacidi: il corpo produce proteine e l’ipotalamo ne elabora alcune piccole sequenze chiamate neuropeptidi che producono gli stati emozionali.
Così ci sono sostanze chimiche per il dispiacere e la tristezza e ci sono sostanze chimiche per la vittimizzazione, per la lussuria, e per ogni altro stato emozionale. Se sperimentiamo uno stato emozionale, è perché l’ipotalamo ha prodotto i corrispondenti peptidi e li ha liberati nel sangue attraverso la ghiandola pituitaria. Dopo essere stati immessi nel sangue raggiungono le varie parti del corpo reagendo con le cellule per mezzo di recettori esterni. A tale scopo ogni cellula sulla propria superficie può avere migliaia di recettori esterni. Quando un peptide raggiunge una cellula si aggancia a un recettore aderendovi perfettamente dando luogo a un movimento che trasmette un preciso segnale. Facciamo un esempio dicendo che lo stato emozionale creato chimicamente è quello dell’innamoramento. Non possiamo affermare del tutto consapevolmente di essere innamorati di una specifica persona, si è soltanto innamorati dell’anticipazione delle emozioni che vengono indotte. Dopo qualche giorno o settimana la stessa persona potrebbe non piacerci più e le nostre emozioni cambierebbero in funzione della nuova chimica che le stimola. In ogni caso non riusciamo mai a separaci dalle emozioni: non è solo un fattore psicologico, è biochimico. Quelle circostanze di vita quotidiana dove accade qualche evento piccolo o grande che ci lascia interdetti tanto da non sapere esattamente cosa proviamo rappresenta l’ulteriore affinamento di un modello di esperienza di cui stiamo ancora elaborando la chimica.
Tornare a chiedersi a questo punto qual è la realtà significa fare i conti con una equazione abbastanza contorta secondo cui ciò che attraverso i sensi percepiamo non è reale, ma è percepito come reale. Ma allora cosa è reale?
Abbiamo visto come nel campo quantistico tutte le realtà esistono simultaneamente. Esistono differenti mondi in cui stiamo vivendo e non mi riferisco in questo caso agli universi paralleli. C’è un mondo macroscopico che vediamo e c’è il mondo delle nostre cellule, quello dei nostri nuclei e quello dei nostri atomi. Ognuno di essi è un mondo totalmente diverso, con un comportamento ed una matematica propri. Non sono soltanto più piccoli: ognuno di loro è totalmente differente pur essendo complementari, perché “io” sono i miei atomi, ma sono anche le mie cellule e la mia fisiologia macroscopica. È tutto vero ma a diversi livelli di verità. Il livello di verità più profondo scoperto dalla scienza e dalla filosofia è la verità fondamentale dell’unità, secondo la quale livello subnucleare ed in osservazione delle regole che fino a qui abbiamo esaminato, io e te, lettore, siamo uno.
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