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LA FOLLIA DEI CONFINI | Sebastiano Vassalli | Il confine I cento anni del Sudtirolo in Italia

Creato il 20 giugno 2015 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia
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sebastiano_vassalli_il_confine_sudtirolo_altoadige (1)di Massimiliano Sardina

Ne Il confine (Rizzoli, 2015) Sebastiano Vassalli torna a parlare di Europa, – come già in Terre selvagge (Rizzoli, 2014) ma sceglie di farlo da un’ottica di frontiera, da un ponte tra due mondi: il Sudtirolo/Alto Adige. Il confine si riallaccia a Sangue e

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suolo (Einaudi, 1985) un libro di viaggio, di interviste e di impressioni. Gli italiani sanno poco o nulla di questa regione, reimpastata a più riprese da guerre e dittature, e l’autore si propone di colmare questo vuoto, e di mettere ordine una volta per tutte «partendo dai fatti e con spirito di verità». L’occasione è in parte anche fornita dall’avvicinarsi di due ricorrenze: il 4 novembre 2018 (cento anni dalla fine della Grande Guerra) e il 10 settembre 2019 (anniversario del Trattato di pace di St. Germain, cento anni del Sudtirolo in Italia). Con il Trattato di St. Germain il confine con l’Austria venne avanzato sul crinale alpino, e così la popolazione sudtirolese si ritrovò improvvisamente “italiana”; il confine settentrionale dell’Italia venne ristabilito seguendo la linea geografica dello spartiacque delle Alpi (il Brennero) e non secondo, come sarebbe stato più logico, un principio di nazionalità. «… la scelta di portare il confine al Brennero forse non fu idealistica né altruistica ma fu certamente, per quegli anni, una scelta in qualche modo logica e prevista anche dalla controparte austriaca (…)

La storia del Tirolo è la storia di un Paese di cultura alpina e di lingua tedesca, che viene diviso in due parti in seguito al Trattato di St. Germain.» La macchina del fascismo si adoperò con ogni mezzo per italianizzare la popolazione. La prima fase di italianizzazione forzata si dispiegò tra il 1922 e il 1935, sulla base delle direttive mussoliniane: “Renderemo italiana quella regione, perché è italiana; italiana geograficamente, italiana storicamente”. Il 2 ottobre 1922 le “camicie nere” occupano il municipio di Bolzano, destituiscono il sindaco e impongono la lingua italiana agli “alloglotti”; la pratica dell’italianizzazione «con la didattica dei manganelli e dell’olio di ricino» si protrasse per ben diciassette anni. Figura centrale dell’italo-fascistizzazione è Ettore Tolomei che, appellandosi a ridicole teorie pseudostoriche,  assegnava al Sudtirolo una “romanità originaria” riconducibile a Druso, figliastro di Augusto. Nel ’23 Tolomei proclamò i 32 punti del suo programma, che in sintesi bandivano il tedesco dalle scuole, dagli uffici pubblici, dai giornali e finanche dalla toponomastica. Una seconda ondata di italianizzazione forzata si verificò tra il ’35 e il ’38, e coincise con la creazione di un’area industriale a sud di Bolzano (che attirò immigrati italiani con mansioni di operai e tecnici). La terza fase di italianizzazione forzata si verificò tra il ’38 e il ’39  a opera non dei fascisti ma dei nazisti. Nel ’38 la Germania hitlerana conquista l’Austria, e fin da subito si profila il progetto di far trasferire la popolazione sudtirolese nel Reich (se ne occuperà Himmler in persona), utile per ingrossare le file dell’esercito nazista. Ai sudtirolesi – in seguito a un accordo italo-tedesco (firmato a Berlino nel ’39) – venne concesso di poter “optare”. Le “opzioni” sono l’acme della follia, l’ennesima barbarie perpetrata in questa terra di mezzo; i sudtirolesi potevano optare tra: cittadinanza tedesca con obbligo di espatrio (opzione 1) e mantenimento della cittadinanza italiana, con perdita di ogni tutela e diritto (opzione 2). Come riportato nel Manuale dell’Alto Adige (più volte citato da Vassalli): 211.799 optarono per l’opzione 1, mentre 34.327 per la 2; la guerra complicò le cose, rallentò gli espatri, ma circa 75.000 sudtirolesi si unirono al Reich. «In Sudtirolo/Alto Adige il nazismo non ha costruito monumenti, non ha fatto in tempo; ma ha lasciato un segno profondo, in quegli anni dal ’39 al ’43 quando, in seguito alle opzioni, sette tirolesi su otto diventarono cittadini tedeschi e sudditi di Hitler. E poi in quei venti mesi, dal ’43 al ’45, in cui il Sudtirolo/Alto Adige fu una provincia meridionale del Reich.»

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La fascistizzazione del Sudtirolo passò anche per l’architettura, basti pensare al Monumento alla Vittoria di Piacentini a Bolzano (inaugurato nel ’28). Il nazismo, osserva Vassalli, non lasciò archi e totem ma gravò altrettanto drammaticamente. Finita la guerra nel maggio ’45 il Sudtirolo divenne anche rifugio di criminali nazisti (che poi lasciarono il Paese grazie a documenti d’identità finti rilasciati dalle amministrazioni locali sudtirolesi). I trattati di pace tolgono all’Italia l’Istria, la Dalmazia, il Dodecaneso e le colonie africane, ma non il Sudtirolo/Alto Adige e il confine del Brennero. Il resto è storia e Vassalli ne ricostruisce in sintesi i fatti più salienti. Dopo il ’45 per il Sudtirolo/Alto Adige la guerra è per altri decenni ancora aperta, il confine è ancora profondo e lacerato, il problema dell’identità e dell’appartenenza non ancora risolto. Chi ha seminato zizzania su questa terra è l’odio, talmente protagonista da ergersi come un personaggio in carne e ossa. Vassalli considera l’Europa un castello di confini sbagliati, confini che andrebbero ridefiniti guardando ai fiumi, alle catene montuose e ai bracci di mare. «Ogni confine è costato guerre, lacrime e sangue (…) Si spera che la perdita d’importanza dei confini disinneschi il meccanismo perverso delle guerre, e che tra gli abitanti di questo vecchissimo continente cresca la coscienza di ciò che li unisce, al di là dei caratteri nazionali che pure hanno il loro peso e la loro importanza».

Massimiliano Sardina

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Cover Amedit n° 23 – Giugno 2015 “Il ragazzo dagli occhi di cielo” by Iano

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