Una fitta coltre di foglie però impediva al sole di raggiungere il suolo e questa condizione aveva così portato alla nascita di habitat differenti a seconda delle altezze. La vita nelle foreste pluviali infatti si organizzava in verticale e non in orizzontale con una occupazione che prevedeva spostamenti a terra. I vari animali dunque sfruttavano le risorse multistrato di questi ambienti e potevano contare su cibo, provviste e riparo a sufficienza, lautamente distribuiti. Per i predatori, farsi largo nelle intricatissime foreste pluviali era davvero complicato permettendo in tal modo agli altri esseri viventi di vivere serenamente senza dover fare i conti con competizioni per la sopravvivenza. I primati arboricoli trovavano in questo habitat tutte le condizioni ottimali per potersi muovere e alimentare grazie, ad esempio, alla loro grande agilità, alle mani prensili che risultavano essere ottime alleate nelle arrampicate, ma anche alle capacità cromatiche e alla vista binoculare che permetteva loro di identificare il cibo con estrema facilità, di afferrare i rami con precisione e di valutare correttamente le distanze tra uno spostamento e un altro. Col trascorrere del tempo però le foreste pluviali cominciavano a diventare sempre più rare. Quelle che si inaridivano scivolavano in ambienti molto più simili al deserto e cominciavano quindi a proliferare le aree aperte. Come diretta conseguenza di ciò, anche gli ecosistemi cominciarono a frantumarsi in tanti piccoli e differenti altri ecosistemi e per i quadrumani l'adattamento alle nuove e vaste aree aperte era diventato di primaria importanza. Questo passaggio epocale segnava anche un cambiamento fondamentale per i primi ominidi che, una volta costretti a vivere in spazi aperti e con pochi alberi, cominciavano ad abituarsi ad una postura sempre più eretta. Alcuni studi sostengono che questo passaggio non riguardò però tutti i primati arboricoli ma soltanto quelli che mostravano una sorta di predisposizione a questo nuovo tipo di locomozione già durante il periodo dell'inaridimento delle foreste pluviali. Magari, se questo non si fosse verificato, queste specie sarebbero andate incontro all'estinzione.
Una fitta coltre di foglie però impediva al sole di raggiungere il suolo e questa condizione aveva così portato alla nascita di habitat differenti a seconda delle altezze. La vita nelle foreste pluviali infatti si organizzava in verticale e non in orizzontale con una occupazione che prevedeva spostamenti a terra. I vari animali dunque sfruttavano le risorse multistrato di questi ambienti e potevano contare su cibo, provviste e riparo a sufficienza, lautamente distribuiti. Per i predatori, farsi largo nelle intricatissime foreste pluviali era davvero complicato permettendo in tal modo agli altri esseri viventi di vivere serenamente senza dover fare i conti con competizioni per la sopravvivenza. I primati arboricoli trovavano in questo habitat tutte le condizioni ottimali per potersi muovere e alimentare grazie, ad esempio, alla loro grande agilità, alle mani prensili che risultavano essere ottime alleate nelle arrampicate, ma anche alle capacità cromatiche e alla vista binoculare che permetteva loro di identificare il cibo con estrema facilità, di afferrare i rami con precisione e di valutare correttamente le distanze tra uno spostamento e un altro. Col trascorrere del tempo però le foreste pluviali cominciavano a diventare sempre più rare. Quelle che si inaridivano scivolavano in ambienti molto più simili al deserto e cominciavano quindi a proliferare le aree aperte. Come diretta conseguenza di ciò, anche gli ecosistemi cominciarono a frantumarsi in tanti piccoli e differenti altri ecosistemi e per i quadrumani l'adattamento alle nuove e vaste aree aperte era diventato di primaria importanza. Questo passaggio epocale segnava anche un cambiamento fondamentale per i primi ominidi che, una volta costretti a vivere in spazi aperti e con pochi alberi, cominciavano ad abituarsi ad una postura sempre più eretta. Alcuni studi sostengono che questo passaggio non riguardò però tutti i primati arboricoli ma soltanto quelli che mostravano una sorta di predisposizione a questo nuovo tipo di locomozione già durante il periodo dell'inaridimento delle foreste pluviali. Magari, se questo non si fosse verificato, queste specie sarebbero andate incontro all'estinzione.
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