C’è qualcosa di profondo dentro, che non riesco a ricordare; è come avere perso il bandolo di una matassa viola perché hai cercato di nasconderla in un cavo d’albero, perché ti sembrava un posto sicuro in cui nessuno sarebbe andato a scovarlo…
L’hai nascosta lì, perché te l’aveva regalata lei…
E così ora nemmeno tu la sai più recuperare; ma sai che è lì.
Sono passati gli anni, non lo ricordi con nitidezza, ma ne hai un’immagine approssimativa in testa. Nel cuore. E sei convinto che- se con l’aiuto delle tue dita (che sono rimaste sottili sottili e che sono diventate ancora più sottili da quando hai ritrovato in te una certa forma di poesia) riuscirai a riprendere il filo- sei sicuro che l’immagine che ritroverai sarà diversa da quella che fa parte di te e dei tuoi ricordi.
Già, perché il ricordo modifica sempre gli oggetti e le immagini che abbiamo delle cose e delle persone: li dipinge di bello o di brutto a seconda delle nostre sensazioni, e fa sconfinare la verità in un limbo soffice di emozioni che vorremmo ripercorrere e che magari poi scopriamo non esistere, o non essere esistite mai…
Così può succedere che il gomitolo di lana infilato nell’albero sia viola e sappia di zucchero filato più di quanto non lo sia e non lo sappia in realtà; ma quando per l’anima è importante, è bene ritrovarlo nonostante sia difficile andarlo a recuperare là, dentro al cavo di quell’albero…
Sono passati gli anni; le cose sono diverse dentro e fuori di me. Ma se io potrò riprendere in mano quel filo e ritroverò quel gomitolo e quel colore e quel sapore, ne sono sicura, vincerò questa battaglia. E ritroverò anche te, mamma, che non ci sei più. Perché quel gomitolo, ricordi?, ma l’avevi regalato tu proprio prima di andar via e di assumere la forma degli angeli.