Qual è la forma della vacuità? Molti sono ormai coloro che tendono a domandarsi della sua sostanza, del suo inafferrabile noumeno (per la postuma gioia di Schopenhauer), ma pochi, troppo pochi, indugiano di fronte al volto dalle mille sfumature che essa volge innanzi a chi, temerario o ignaro, osa guardarla.
Perchè in fondo, come diceva Nietzsche: "E se tu riguarderai a lungo in un abisso, anche l'abisso vorrà guardare dentro di te", e non sbagliava affatto: solo tentare di illudersi dell'assurdità di quanto scritto sia l'ennesimo disperato tentativo di rifugiarsi nella sostanza per rifuggire quella forma così "morbida" ed educata che non può che se-durre, solo per svelare quell'essenzialità autentica che l'altrove, dispersivo, colorato, inutilmente rumoroso e vivo, seppellisce sotto una montagna di rifiuti.
Troppi vani sforzi sono rivolti ad un progetto di evasione che, nel suo attuarsi, mostra che la prigione è tutt'attorno e il luogo da cui si pensa di fuggire è forse l'unico brandello "libero" ancora gentilmente concesso. Ma lo schiavo che sente le catene cedere e rovinare per terra non può dominare quell'impulso dell'oltre che lo guida beffardo, senza guardie nè buoi, verso il suo supplizio. Egli semplicemente vede nell'evasione, in quel volgersi ove la sua prigionia psicologica aveva proiettato il suo dissolversi, l'unica possibilità d'essere "finalmente" (in tutti i sensi) persona-senza-maschera, ente che va alla perdita di ogni riferimento consapevole di una possibilità e di una (forse genuina) intenzionalità.
Luci e ombre, sole e pioggia fitta, volti sereni e sguardi affannati: sono forse queste le forme della vacuità? Magari... il gioco sarebbe fin troppo semplice e perfino noioso, ma in verità, proprio in questa noia si cela una chiave di lettura che apre le porte a quella stradina malandata che, chissà, potrebbe pure portare ad una collinetta ove la veduta è più limpida. Annoiarsi diventa quindi il più genuino impulso vitale che svela ciò che è ri-velato (badate bene: la consapevolezza della vacuità non è sorta per magia, essa è stata intravista, proprio nel momento in cui tornava al suo occulto loculo) e mostra l'altro-da-sè come un valico incolmabile, come la più naturale manifestazione dell'impossibilità che appare sotto forma di possibile tendenza verso ciò che non è mai "a portata di mano". (Diabolicamente vicino nella sua infinita lontananza).
E' probabilmente (senza alcuna pretesa che, qui, sarebbe solo l'ennesimo dogma emanato alla polvere del deserto) questa "visione da ubriaco" la vera forma della vacuità, anche se ahimè, in questo caso, i fumi dell'alcool più che favorire, riducono di parecchio l'avvento di quella scintilla di consapevolezza tanto rifuggita dall'uomo "in perenne estate". I raggi caldi hanno infatti la tendenza al doppio-gioco, avvinghiano per poi scaraventare al suolo per farsi nuovamente corteggiare, ma anche in quel finto abbraccio, in quella drammatica illusione così tanto diffusa, quel vacuo senso di realtà si palesa come il mendicante che chiede pochi spiccioli, non per seguitare a vivere, ma forse per trovare la sua fine! Un epilogo che, come nel caso dell'uomo "reale", suo naturale complemento, gli permettere in extremis di guardarsi allo specchio senza l'ormai scontata certezza di vedersi attorniato anch'esso... da un indicibile nulla.