Il romanzo d’esordio di Francesca Marzia Esposito è incentrato sulla vita di Luce, che è anche la voce narrante. Luce vive da sola, in un appartamento di città. Solo in un secondo momento capiamo che quella città è Milano. Perché a Luce non piace parlare di ciò che riguarda l’esterno, ciò che avviene al di fuori delle mura del suo piccolo appartamento. Già, perché Luce si è barricata dentro il suo appartamento, non esce mai e quando lo fa è sopraffatta dall’ansia, che le blocca il respiro, che la scioglie dentro, nell’anima. E così passa le giornate distesa sul divano, senza aver altro da fare che non sia fissare lo schermo del televisore, perennemente sintonizzato su canale 32, una rete locale che trasmette televendite di gioielli senza soluzione di continuità.
Il suo calendario si è fermato a gennaio 2008, i giorni trascorrono senza tempo, la notte si confonde con il giorno e viceversa, perché le tapparelle non vengono mai alzate, Luce non sa mai se siano le tre del mattino o le cinque di sera, la sua vita va avanti senza il tempo, anzi: la sua vita non va avanti, ma è statica, sospesa al di fuori del tempo, nello spazio del suo appartamento.
Un giorno, però, nella sua vita entra Bambina, che in realtà si chiama Viola, cinque anni, figlia del fratello Yuri. Bambina è muta, un giorno ha deciso di non parlare più Yuri ha litigato con la madre di Viola, così ora ha bisogno di qualcuno che badi a sua figlia mentre lui è a lavoro. Toccherà proprio a Luce dover adempire a questo compito, controvoglia, obbligandosi ad accettare Viola all’interno del suo appartamento, della sua vita. Ed è così che, poco alla volta, le esistenze di zia e nipote si intrecciano tra di loro, gli spazi di una diventano spazi dell’altra, le giornate riprendono lentamente a scorrere, dal calendario vengono strappate le pagine di Gennaio 2008, e poi Febbraio, e Marzo… poco a poco il tempo ricomincia a scorrere dentro quell’appartamento di Milano, i silenzi vengono riempiti da voci, di rumori, i ricordi riaffiorano non per essere odiati, ma per essere compresi e assimilati, per essere da base per un futuro migliore.
Lo stile con cui la Esposito ci presenta questi ricordi e il presente che hanno generato non è scontato né classico, ma particolare, personale. Le frasi sono le impressioni di Luce, i dialoghi tra i protagonisti vengono riportati come ricordi dentro la sua mente, attraverso un unico flow ininterrotto di pensieri. I personaggi sono ben caratterizzati, anche se, a tratti, e tra cui la protagonista, non sembrano mossi per la loro razionalità ma subiscono la storia, come se fossero costretti ad agire e dialogare in un certo modo – impulsivo sì, ma anche forzato da esigenze di trama – per compiacere quello che deve essere il prosieguo delle vicende.
Ed è in queste vicende che Luce e Viola diventano inconsapevolmente elementi fondamentali l’una per l’altra: Viola riprende a parlare, Luce ricomincia a uscire di casa, a smuovere i propri pensieri a riprendere in mano la propria vita, risale la china della propria esistenza fino ad arrivare alla vigilia del Natale 2012, notte in cui riaffiora il ricordo più dolce e anche doloroso del suo passato, dopo il quale tutto cambia.
Da quel momento il romanzo procede verso la sua conclusione, che non è quella canonica, in cui tutti i cliché devono essere rispettati, ma quella naturale, adatta a ciascuno dei personaggi. Per loro, e Luce in primis, non esisterà la formula “E vissero per sempre felici e contenti”, ma ognuno vivrà la parte di felicità che il destino riserverà loro, aspettandola, e accontentandosi “di una qualsiasi forma, anche minima, di felicità”.
- Autore: Francesca Marzia Esposito
- Editore: Baldini & Castoldi
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