Due secoli di storia italiana visti attraverso le vicende di una famiglia-azienda: i Ciccarelli.
Già nel titolo l’avvincente saga famigliare rievoca uno dei prodotti più noti dell’azienda, la Pasta del Capitano, tra i primi dentifrici made in Italy messo a punto agli inizi del Novecento dal Capitano di cavalleria Clemente Ciccarelli, nonno materno dell’autore.
La storia dei Ciccarelli comincia nella prima metà dell’Ottocento nelle Marche, a Montolmo, piccolo paesino che verrà poi ribattezzato Corridonia in onore di Filippo Corridoni, sindacalista e rivoluzionario.
Pietro è il primo Ciccarelli a fare il salto da speziale a farmacista e a inaugurare la dinastia che con Ciriaco e poi Nicola attraversa tra alti e bassi gli anni tumultuosi del Risorgimento. Nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, nasce Clemente, farmacista, veterinario e Capitano di cavalleria che viene distaccato al nord. A Padova, per la precisione. Qui trova moglie, Maddalena Vasoin, e gli nasce l’idea di trasferire al nord, o meglio a Milano, le farmacie di famiglia dove vendere il callifugo e il dentrificio di cui ha messo a punto la formula pensando a denti e piedi dei suoi commilitoni. L’impresa decolla e nel dopoguerra passa nelle mani di un altro Nicola, detto Nico.
Nico traghetta la piccola azienda famigliare durante gli anni del boom e la fa crescere fino a insidiare la leadership delle multinazionali americane che in quegli anni sbarcano in massa nella Penisola. Dalla sua ha Carosello. Primo imprenditore a farsi testimonial televisivo dei propri prodotti, Nico Ciccarelli ci mette la faccia per garantire la qualità, «buona, anzi ottima».
Se Clemente ha inventato la formula dei prodotti, Nico mette a punto la formula dell’azienda: prudenza, niente debiti e nessun socio. Tutto in famiglia. Alla sua morte il testimone passa al nipote Marco, che mantiene tutte le formule originali e aggiunge di suo la capacità di non farsi trascinare dalle chimere della new economy e della finanza.
«Il sogno della grandeur portato dalla globalizzazione ha fatto sì che molte piccole e medie imprese perdessero la loro identità, diventassero più lente, più pesanti e cedessero alla tentazione del me too con il risultato di veder crescere il loro indebitamento e diminuire la capacità di innovare e competere», scrive Pasetti.
Nel libro si leggono in controluce tutte le contraddizioni del sistema economico-produttivo italiano incapace di valorizzare e difendere le medie imprese costrette a cavarsela da sole (emblematica in questo senso la parabola delle aziende cosmetiche italiane nate insieme alla Farmaceutici Ciccarelli e poi fagocitate dalle multinazionali): «Si è demonizzato troppo a lungo il capitalismo famigliare confondendolo con la Fiat. Niente di più sbagliato. L’azienda di famiglia è un patrimonio della collettività, verso la quale ha dei doveri sia nei confronti dei lavoratori che dei consumatori. È questa la vera formula vincente», conclude Pasetti.