Dopo la parentesi sulla mediazione coniugale, torniamo alle riflessioni che avevamo abbandonate nel post "Il gioco dell'Amore: vincere entrambi".
Il primo passaggio per accedere a un sano e costruttivo rapporto di coppia capace di alimentarsi e crescere attraverso la benefica energia del conflitto ("L'amore non è bello se non è litigarello" diremmo, approfittando della coincisa saggezza millenaria dei proverbi), è quello di accettare che io non sono l'Altro, che l'Altro non deve diventare me, e che, invece, la nostra forza e bellezza sta proprio nel costruire, giorno dopo giorno, un qualcosa che da soli non potremmo mai fare: quel terzo che spesso confluisce nella carnalità di un figlio, ma che è (anzi: dovrebbe essere), soprattutto e prima di tutto, quello sguardo terzo che insieme possiamo posare sulle cose del mondo per raccontarcele in un modo unico che io e te da soli non potremmo mai dire, come io e te da soli non potremmo mai fare e, attraverso questo sguardo, com-prendere (accogliere in noi) qualcosa in più di me e di te e di ciò che ci circonda, camminando verso quella condizione, che alcuni chiamano "beatitudine", che dimora proprio nella comprensione.
Questa è la forza dell'Amore, che poi si maschera di così tante cose, più o meno positive, più o meno negative, da perdere queste sue sembianze originali, inducendoci a disperderci nei mille rigagnoli in cui questa forza si concreta: un figlio, ad esempio, dicevamo... il parto di un me diverso da me, che è gioia sublime e estrema testimonianza di questa terzietà, laddove però è davvero aiutato a interpretare e rappresentare questo modo terzo di vedere il mondo e non costretto a diventare la prova provata della mia verità, plagiato testimone del mio modo di vedere il mondo. Ma senza necessariamente tirare in ballo i figli, incarnazione fin troppo facile di questa terzietà (che ahinoi non significa sia tutelata), tali e tante sono le condizioni in cui questa forza dell'amore potrebbe manifestarsi e invece si disperde, da non poterle nemmeno enumerare tutte. Si tratta di un gioco davvero perverso in cui inizialmente cerchiamo l'Altro proprio perché non é me e questo ci attrae a lui ma, paradossalmente, una volta conquistato, una volta consumata almeno la distanza fisica che un tempo ci separava, ecco che subito ci mettiamo all'opera affinché l'Altro da me diventi come me. Invece di coltivare questa benefica distanza, ci danniamo perché l'Altro non ci somiglia e inventiamo ogni genere di strategia, quando non di vera e propria coercizione, a volte anche violenta, per farlo aderire il più possibile a noi annientando la forza dell'amore e con esso l'amore in quanto tale. C'è, tuttavia, un modo per salvarsi da questa dannazione... lo proveremo a indagare nel prossimo post.