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La Fotografia Post Mortem: da Joseph Niépce a The Others

Creato il 15 luglio 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine
La Fotografia Post Mortem: da Joseph Niépce a The Others

Molti considerano i film come incubi trasportati su pellicola. André Bazin, ad esempio, parla del cinema come di un simulacro di celluloide, ovvero della tomba in cui l'anima viene catturata e imprigionata per l'eternità. Analizzando un'opera alquanto particolare come The Others (2001) del regista spagnolo Alejandro Amenábar, vediamo come questo concetto possa trovare una sua applicazione nella pratica, per certi versi inquietante, della fotografia post mortem.

Ormai caduta in disuso, la fotografia post mortem ha costituito per più di un secolo una delle modalità più ricorrenti ed usuali con cui le persone di nazionalità, religione e culture diverse hanno voluto fissare su di un supporto sensibile l'immagine dei loro cari defunti, una sorta di documento che ne testimonia il trapasso ma allo stesso tempo un modo per ricordarli per come erano in vita (o, se preferite, per illudersi che ancora lo siano). Nel film di Amenábar, la protagonista Grace (Nicole Kidman) trova nella soffitta della sua abitazione un vecchio libro rilegato in pelle, libro che a prima vista pare un normalissimo album di fotografie, ma che in realtà contiene scatti artistici fatti a uomini, donne e bambini dopo che questi hanno esalato il loro ultimo respiro. Come la stessa governante, la signora Mills (Fionnula Flanagan), fa notare alla donna, era pratica diffusa nel corso della prima metà del XIX secolo conservare le immagini dei morti, in modo da mantenere un legame latente tra questo e l'altro mondo.

Cerchiamo ora di fare un po' d'ordine e di descrivere, seppur sommariamente, la nascita e l'evoluzione di questo fenomeno tanto strano ai nostri occhi quanto ordinario per i nostri antenati. Obbligatorio partire da quel Joseph Nicéphore Niépce che nel 1826 inventò il primo rudimentale sistema di fissaggio di immagini su lastra sensibile tramite reazioni fotochimiche. In seguito, Louis Daguerre con la dagherrotipia e William Henry Fox Talbot con la calotipia perfezionarono il procedimento dando così inizio all'arte della fotografia. Subito si intuirono le grandi potenzialità di questo nuovo mezzo, il quale, oltre ad essere molto più preciso ed economico della pittura, permetteva di ottenere un prodotto finale in cui pareva che l'essenza stessa delle cose e delle persone venisse congelata in un attimo eterno. Per questo motivo, moltissime famiglie, in genere benestanti, richiedevano ai fotografi di immortalare i loro defunti in modo tale da poterne mantenere vivo il ricordo.

Nel periodo che va dal 1830 al 1850 la fotografia post mortem iniziò ad affermarsi soprattutto in paesi come l'Inghilterra e la Francia, dove non solo la nuova invenzione era più diffusa, ma dove soprattutto i vincoli morali al riguardo erano meno rigidi. Così, molti fotografi ambulanti e professionisti cominciarono a proporre pose di questo tipo a prezzi accessibili, favorendo una capillare diffusione del fenomeno. In questa prima fase, gli scatti mostravano generalmente solo il volto del defunto, ad occhi e bocca chiusa per restituire l'espressione tipica di chi riposa, come in una normale fotografia tombale.

Dal 1850 al 1870, grazie ai cambiamenti nei supporti sensibili che permettevano pose più brevi e meglio definite, si cominciò a creare una vera e propria mise-en-scène; i defunti venivano posizionati su sedie, divani, letti, piani di cottura o scrivanie in modo che sembrassero impegnati in normali occupazioni quotidiane come leggere, scrivere o cucinare. In definitiva, queste fotografie ce li mostrano come fossero ancora vivi e vegeti. Occhi aperti e bocche spalancate davano poi la sensazione che il cadavere stesse sorridendo, parlando o ammiccando e, laddove la corruzione del corpo fosse già intervenuta, il fotografo (che era per forza di cose anche esperto in imbalsamazione) si occupava di modellarlo con speciali unguenti o cosmetici per dargli una parvenza di "buona salute".

Spesso i genitori tenevano in braccio i corpicini dei loro neonati deceduti subito dopo il parto, o questi ultimi venivano ritratti come addormentati nelle loro culle o nei lettini. In genere, come testimonia anche la visione di The Others, marito e moglie o i fratelli venivano raffigurati abbracciati o mentre si prendono per mano, ad indicare il forte legame che li aveva uniti in vita e che non si spezzava con la morte. D'altronde bisogna inquadrare l'evolversi di questo fenomeno in un contesto storico-culturale in cui soprattutto la mortalità infantile era molto alta e, se da un lato il lutto era subito con una buona dose di rassegnazione, dall'altro la fotografia aveva di certo una forte valenza simbolica e consolatoria. Una pratica che non comprendiamo fino in fondo e che ci sembra addirittura inumana, proprio perché affonda le radici in condizioni che oggi non sono più così comuni.

In ogni caso, già a partire dal 1870, e fino ai primi decenni del Novecento, si cominciò ad assistere ad un'involuzione del fenomeno, come se mostrare i morti come persone viventi avesse scatenato una sorta di paura inconscia: pertanto, si ritornò a mostrare i cadaveri all'interno delle loro bare aperte. Gli occhi erano chiusi e in genere nell'inquadratura si facevano rientrare candele, fiori e in seguito anche i parenti del defunto. Questo brusco cambio di iconografia deriva da una delle paure ancestrali dell'uomo, quella del ritorno dei morti. Nell'antichità, del resto, si ponevano delle pietre sopra le tombe dei defunti per evitare che essi potessero alzarsi e tornare a tormentare i vivi, così come le stesse casse da morto servivano idealmente ad incapsulare il trapassato per limitarne eventuali movimenti. Quindi, ritornare a ritrarre i defunti nelle loro pose consuete era come un voler riaffermare la distanza tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

All'inizio del XX secolo la fotografia post mortem si diffuse anche in Scandinavia, Spagna e Italia. Nel bel paese durò fino agli anni '50 sviluppandosi però in modo molto differente; mentre nel resto d'Europa le immagini dei defunti iniziarono a comparire solo sulle lapidi, da noi invece ebbe un certo successo il "servizio fotografico da funerale", il quale, alla stregua di un reportage matrimoniale, illustrava le varie fasi di una cerimonia funebre: dalla deposizione del corpo nella bara al corteo, dalla messa fino alla definitiva sepoltura.

Oggi, infine, la fotografia post mortem può considerarsi estinta; ne rimangono solo alcuni discendenti indiretti, come, ad esempio, le fotografie autoptiche (sia quelle ufficiali che quelle artistiche di autori come Patrik Budenz ed Andres Serrano) e le immagini nelle lapidi, che però ritraggono sempre la persona quando è ancora in vita.


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