C’è un’eccitatissima perversione della vita ed è la necessità di compiere qualcosa in un tempo minore di quanto in realtà ne occorrerebbe. Battere i primati non è solo una questione sportiva alla quale tutto si sacrifica, compresa la vita stessa, con imprese talora folli e persino assurde e false (il doping insegna). Ormai l’accelerazione in ogni atto, la frenesia del movimento, l’intolleranza nei confronti di ogni ostacolo o remora sono divenute il vessillo della nostra società. Aveva ragione, perciò , lo scrittore americano Ernest Hemingway (1899-1961) quando nelle sue storie di caccia delle Verdi colline d’Africa definiva questo atteggiamento una perversione. Eccitante, certamente, perché ti illude di moltiplicare opere e risultati, in realtà pericolosa perché alla fine crea solo persone superficiali, incapaci di ascolto e di serenità, di relazioni autentiche e di creazioni durature. Tutto si consuma in un baleno, non si approfondisce e non si sedimenta nulla. L’eccesso colpisce per un istante ma non scava mai oltre la superficie. Si pensi solo all’amore: oggi non c’è più preparazione, corteggiamento, fremito dell’attesa, crescita dei sentimenti, scoperta dell’intimità. No, tutto si consuma in un incontro, riducendo tutto a un contatto di corpi che rimangono privi di anima. Aveva ragione lo scrittore tedesco Michael Ende quando, nella sua Storia infinita, osservava che «siamo andati avanti così rapidamente in tutti questi anni che ora dobbiamo sostare un attimo per consentire alle nostre anime di raggiungerci». Reimpossessiamoci, allora, del nostro tempo, gustiamo ancora la quiete, la pacatezza e il silenzio, ritroviamo la capacità del dialogo e dell’ascolto.
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