Quando è arrivato il conflitto in Ucraina, la Repubblica di Georgia deve aver sentito che la storia stava per ripetere se stessa.
La Georgia è stata mutilata del 20 percento della sua sovranità territoriale che di fatto la Russia controlla dal 2008. Oggi l’Ucraina sembra subire la stessa sorte con la perdita della Crimea e di una percentuale rilevante delle regioni del sud est e importanti città come Lugansk e Donetsk.
L’argomento principale mosso a difesa dell’azione in Georgia è impietosamente lo stesso. L’impegno militare è stato per proteggere i cittadini di etnia russa e le altre minoranze che vivono nelle province autonome dell’Acbasia e dell’Ossezia del Sud.
Nell’agosto del 2008 in 5 giorni il sogno dei separatisti acbasi diventa realtà e viene dato seguito alle loro istanze indipendentiste supportate dal gigante russo alle loro spalle che arriva a poche decine di chilometri da Tblisi, la capitale della Georgia.
La Georgia viene sostenuta più a parole che con i fatti dalla cosiddetta Comunità Internazionale, Stati Uniti e UE in testa. Nel 2009 un report di una commissione indipendente, rincara la dose colpevolizzando lo stato caucasico come aggressore dell’Ossezia del Sud.
Il 26 agosto del 2008, l’Acbasia e l’Ossezia del Sud diventano stati de facto indipendenti riconosciuti soltanto dal Cremlino e successivamente dal Nicaragua e dal Venezuela.
Lo scorso novembre in risposta ad un accordo di cooperazione tra Georgia e UE, Putin sigla un accordo militare e di supporto difensivo strategico con il Presidente dell’Acbasia Raul Khadzhimba.
Oltre alle istanze difensive la Russia offre soldi e l’equiparazione dei benefit pensionistici russi ai cittadini acbasi.
Il prossimo passo? Probabilmente un referendum magari con qualche emissario di Marine Le Pen come osservatore elettorale ufficiale. La frontiera russa non è ancora morta.
Annettere, annettere, annettere…
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