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La frustrazione e il risentimento nel tono della voce

Creato il 28 marzo 2015 da Speradisole

LA FRUSTRAZIONE E IL RISENTIMENTO NEL TONO DELLA VOCE

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Un semplice pronome come “tu” può suonare carezzevole come una dichiarazione, imperativo come un ordine o aggressivo come un’accusa. Prima ancora di capirne il significato, le parole colpiscono perché sono pronunciate. Hanno un aspetto acustico, fatto di volume, tono, ritmo, ben prima che semantico. Soffuse o tonanti, violente o delicate, indipendentemente dal loro contenuto. Le corde vocali sono lo strumento musicale delle emozioni, entrano in vibrazione con i nostri imbarazzi e la nostra rabbia, riecheggiano la paura come l’allegria, si tendono e si muovono al ritmo del cuore e delle fluttuazioni.

Questione di accenti, non si tratta solo di decibel, ma di modulazione. Ci sono voci monocordi: qualunque livello raggiungono, non cambiano inflessione, restano potenti o inespressive, se non per la loro energia sonora. Al contrario, ci soni accordi carichi di colore affettivo, di alti e bassi, di inflessioni tenere, acute, fonde, esplosive.

Secondo lo psicologo statunitense, Albert Mehrabian, nella relazione, l’aspetto vocale pesa del 38 per cento e l’aspetto verbale, cioè le parole vere e proprie, del 7 per cento.

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La voce dunque comunica più e oltre le frasi e i vocaboli scelti, il che sposta con forza l’attenzione dal che cosa al come si dice. L’intensità, per esempio, è di per sé un valore espressivo: l’urlo trasmette frustrazione e risentimento. Si alza il volume per reagire a una perdita di controllo e di equilibrio. Sopraffatti dai sentimenti, il grido è un appiglio, un modo per aggrapparsi, richiamandola, all’attenzione dell’altro.

L’ansia invia tensione a livello della gola, dello stomaco, dei polmoni e delle tempie e la veemenza di tutto il corpo altera i toni. Spesso si ottiene l’effetto contrario nell’escalation del rumore, c’è un limite fisico alla possibilità di elevare la voce.

Il modo migliore di farsi ascoltare, a volte, è abbassare improvvisamente il volume, mantenendo un’esposizione lenta e opacata. Conta il ritmo del respiro, più rilassato e profondo, più la comunicazione risulta calma, sicura, convincente e perciò attraente, più è breve e superficiale, più le parole escono frammentate e nervose, impazienti e perciò fastidiose. Il dipartimento di Linguistica della Sheffield University ha pubblicato la formula della voce perfetta. Esiste un numero di parole al minuto per farsi ascoltare.

Chi urla sempre rischia di non farsi ascoltare. Analizzando migliaia di voci diverse, gli ingegneri del suono hanno elaborato l’equazione matematica ideale per farsi ascoltare. In base ai calcoli, il parlato non deve contenere più di 154 parole al minuto e va spezzato con pause di 0,48 secondi. In più, le frasi devono avere un’intonazione decrescente.

Chiassosi strilloni e irosi, concitati urlatori sono avvertiti. Maurizio Landini e Beppe Grillo compresi.



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