È una storia che si ripete, tristemente uguale a milioni di altre storie: l’aggressività del branco eterocentrico, la famiglia assente e spesso complice della discriminazione, la solitudine della vittima. Eddy è additato, etichettato e insultato come “frocio” prim’ancora della sua stessa presa di consapevolezza circa il proprio orientamento emotivo (e quindi sessuale). L’insulto non è episodico o marginale ma quotidiano, puntuale, fuori casa e dentro casa, nel cortile della scuola e intorno alla tavola di famiglia. Eddy suo malgrado gesticola troppo, ha la voce troppo acuta, si muove in modo troppo aggraziato, non ama sufficientemente il calcio, le birre, i motori, le ragazze, e quel che è peggio è attratto da interessi considerati femminili. Non ha scelto di essere così, è così e basta, ma agli altri, questi famigerati altri che pretendono di incarnare la sana normalità, uno come lui non può che suscitare riprovazione.
Il contesto è quello di un piccolo paese della Francia del Nord, nei primi anni Novanta (ma potrebbe essere la Roma o la Milano di oggi). Il piccolo Eddy Bellegueule (il cognome, ironia della sorte, letteralmente si traduce in “bell’imbusto”) nasce in una famiglia estremamente povera, con padre alcolizzato, fratello violento e madre sciatta e mascolina. Nessun amico, nessun conforto. Gli unici valori condivisi, fuori e dentro casa, sono quelli di una feroce quanto grottesca virilità. Incapace di uniformarsi al modello maschile vigente, nonostante numerosi tentativi fallimentari, Eddy cerca di travestire la sua diversità, di nascondersi dietro un posticcio atteggiamento da duro, naturalmente con scarso successo. Per tutti Eddy è e deve restare il diverso, il frocio, l’invertito. Gli insulti, gli sputi, le botte, le umiliazioni diventano la routine, la normalità del diverso. Eddy, come tanti nella sua stessa situazione, non riesce a reagire, non ha gli strumenti per farlo, anzi pensa di meritare quel supplizio piombatogli addosso dal cielo. La violenza omofobica, fisica o verbale che sia, marchia nel profondo, devasta, uccide. Eddy è un bersaglio facile, un agnello tra i lupi, un’esile sagometta rosa di fronte a un esercito in bianco e nero, e fin da subito smette di schivare i colpi, resta immobile a riceverli, a incassarli, a somatizzarli. In cuor suo sa che cercare di divincolarsi è inutile. Nella rigida società dei normali gli attacchi omofobici sono atti dovuti, comportamenti ritenuti giusti, posizioni ideologiche da esibire platealmente per ribadire una mascolinità altrimenti silenziosa e invisibile, e anche il padre chiamando il figlio “fighetta” o “femminuccia” risponde alla stessa impietosa didattica. Eddy non può salvarsi da solo, non può proteggersi né omologarsi, non ha scampo, e realizza ben presto che per quelli come lui l’unica reale chance di sopravvivenza è la fuga, nient’altro al di fuori di un allontanamento concreto e definitivo.
En finir avec Eddy Bellegueule (questo il titolo originario del suo romanzo autobiografico, tradotto per Bompiani da Alberto Cristofori) è un resoconto schietto e crudo, è la storia di una vita offesa. Più che per ragioni strettamente letterarie, il testo si impone all’attenzione per la sua valenza civile, in una società europea (e pensiamo al caso triste dell’Italia, fanalino di coda anche in questo, tanto per non farci mancare nulla) ancora molto confusa e disomogenea in tema di leggi antiomofobiche. In Francia Il caso Eddy Bellegueule ha tagliato le duecentomila copie. Qui in Italia andrebbe distribuito nelle scuole, e soprattutto in Parlamento. Ma in Italia, si sa, tutto si trascina, e basta che ce sta o’ sole…
Oggi l’autore ha ventun anni e vive a Parigi. Nel 2013 ha curato il volume Pierre Bourdieu: l’insoumision en héritage; attualmente dirige la collana Des Mots, della Presses Universitaires de France.
Maria Dente Attanasio
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Cover Amedit n° 19 – Giugno 2014, “Barbatrucco” by Iano
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 19 – Giugno 2014
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