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La gabbia dei desideri

Creato il 27 agosto 2013 da Giuseppe Bonaccorso @GiuseppeB

Magritte_1050_crMi pongo un interrogativo: ammettendo la validità della convinzione di Lacan che l'uomo sia "immerso" sin dal momento della sua nascita nel linguaggio (tesi che condivido in pieno), quanto è possibile desiderare ciò che è linguisticamente indescrivibile in quanto, per sua natura, trascende il "contenimento" imposto dalla struttura della lingua naturale?

Di primo acchito, ciò può sembrare alquanto bizzarro e inutilmente cervellotico: se l'uomo concepisce e descrive (seppur in modo circostanziale e spesso "goffo") una trascendenza, essa dovrebbe poter divenire sia oggetto di "capriccio" (inteso come desiderio minore, privo della "direzionalità" che imprime il "vero" e unico desiderare), sia lo scopo finale di un vero desiderio che, esistenzialisticamente parlando, si situa in quel limbo che separa l'essere uomo in quanto tale dal suo non-essere perchè giunto al limitare del suo tempo (e, per dirla come Heidegger, divenuto "finalmente" aut-entico).

Purtroppo però, almeno in questo caso, l'eccessiva semplificazione, non soltanto non premia alcuno sforzo, ma rischia di far precipitare l'analisi in un vortice auto-referenziale ove non c'è più alcuna possibilità di elaborazione razionale. Se infatti il linguaggio è il medium che ci "autorizza" a definire ciò con cui entriamo in relazione (che "chiamiamo", appunto), anche il desiderare è delimitato dalla nostra capacità linguistica e, conseguentemente, i suoi (pseudo-)oggetti faranno parte di un insieme più o meno vasto e variegato ma pur sempre limitato e inespandibile (senza prima aver "allargato" i confini del linguaggio).

Desiderare la trascendenza è possibile, quindi, solo a patto di immaginare quest'ultima come una realtà analoga a quella definita linguisticamente (non a caso e in modo completamente inappropriato, si parla spesso di "altra vita") con tutte le conseguenze esistenziali del caso. In primis, la "banalità" della struttura degli oggetti: una "vita eterna" è folle almeno tanto quanto l'idea di dover sopportare il peso di limiti eterni, ma una "vita senza limita ed eterna" è ancora più assurda in quanto il linguaggio che ci autorizza a parlare di essa ci mette in guardia definendo prima il termine "limite" (sperimentato immediatamente dall'uomo) e poi, con grande sforzo immaginativo, ci permtte di creare una frase privativa la cui rispondenza al reale è possibile delimitando il campo d'azione del discorso.

Il trascedente è, per sua definizione, indescrivibile linguisticamente (a meno di non parlare per allegorie la cui valenza si perde nello stupore "incolto" dei bambini e degli ignoranti) e, perciò, è intrinsecamente indesiderabile. Affermazione "pesante", è vero, ma, chiudendo questo breve articolo con altro interrogativo, qual è il criterio universale e ineludibile per essere certi che si stia desiderando la trascendenza e non la "trascendenza" (ovvero il suo "avatar" linguistico)?


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