Sembra proprio che Giorgio Napolitano sia stato punto sul vivo dal successo (inatteso?) del Movimento 5 stelle e abbia reagito d'istinto, tirando fuori il funzionario di partito che è in lui. Peccato però che egli sia il presidente della Repubblica, colui che “rappresenta l'unità nazionale”.
Liquidare sbrigativamente il fenomeno politico sul quale si stanno interrogando (giustamente) politici e intellettuali in questi giorni con una battuta infelice e sarcastica si addice più al cane da guardia dei vecchi partiti, allertato dalla potenziale minaccia di un outsider con cui dover fare i conti, che a un capo dello Stato che nel merito della competizione elettorale non dovrebbe neanche entrare.
Il sarcasmo di Napolitano è fuori luogo non solo perché nega un fenomeno che è invece reale, facendo come la scimmia che non vede, non sente e non parla, ma anche – e forse soprattutto – perché colpisce non Grillo e le sue boutade antisistema, ma centinaia di migliaia di persone che hanno esercitato il loro diritto/dovere costituzionale di scegliere i propri rappresentanti nelle amministrazioni locali.
Un presidente della Repubblica non dovrebbe irridere questi voti, che spesso sono voti strappati all'astensione. E non dovrebbe neanche liquidare il fenomeno come antipolitica. Anche perché – checché ne dicano Grillo e i grillini – un'associazione di persone che porta avanti progetti politici in maniera non estemporanea, che si presenta alle elezioni e addirittura le vince ha un nome preciso: partito. Più politica di così.
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