Magazine Cucina
Fernanda Spigone, residente a Segni, in provincia di Roma, ha scritto e pubblicato testi di poesia, narrativa e teatro. Collabora con riviste letterarie e periodici di cultura e attualità curandone importanti osservatori e portali. E’ membro attivo dell’associazione “Artisti dei Lepini” e della Giuria del Premio Biennale Letterario dei monti Lepini, fa parte del gruppo di studio Poetare..perchè? diretto da Paolo Broussard. Nell’anno accademico 2007-2008 ha coordinato le attività del Salotto letterario svoltosi presso l’Unitrè, Università delle tre età in Colleferro. Attualmente, presso la stessa sede, coordina il laboratorio di Storia della letteratura italiana. Ha ricevuto numerosi premi letterari ed è stata inserita in ragguardevoli antologie e storie letterarie.
Buona lettura del racconto di Fernanda, partecipante al quarto concorso letterario di Villa Petriolo "La gaia mensa"!
Racconto “I fregnaquanti” di Fernanda Spigone
Maccheroncini all’uovo, giallo dorati, che nacquero nella notte dei tempi, sottili code di cometa a rischiarare un universo povero di cibo e ricco di fame.
Le donne, la sera, preparavano il prezioso impasto di uova e farina, poi infierivano sulla pasta con la danza veloce delle loro mani, quindi la massa formatasi veniva presa a bastonate: scorreva su e giù il mattarello, tante tante volte fin quando da quel mucchio morbido e profumato veniva fuori un lenzuolo rotondo, giallo e grande come il sole africano che le donne stendevano ad asciugare.
Era la “ sfoglia”! Attoniti i bambini, con la punta del naso imbiancata di farina, guardavano la magica trasformazione ed il grembiule della mamma diventava allora l’ampia veste di una fata, il kaftano di un mago o di uno sciamano, che meraviglia sapevano compiere quelle mani che si muovevano agili come rondini in volo!
L’indomani la sfoglia era asciutta e il rito riprendeva; sul povero tavolo c ‘era ancora la “spianatora”, dove la massa era stata spianata, la sfoglia ora veniva piegata accuratamente tante volte fino a diventare una sorta di lungo tubo schiacciato e allora iniziava un’altra magia, di nuovo i bimbi dal naso infarinato si riunivano lì a guardare la mamma che con un coltellaccio tagliava il tubo sottilmente: la mano sinistra era sul tubo con la punta delle dita unite , la mano destra tagliava, l’abilità consisteva nella sinergia fra la mano destra che avanzava minacciosa e la sinistra che indietreggiava senza mai mollare la presa sull’involucro di pasta.
Era quello il videogioco dei bimbi dal naso infarinato, quelle mani agili e scattanti mimavano la lotta fra il bene e il male , dalla loro tenzone ne nascevano rotelle di fili ordinatamente attorcigliati che le donne, imitando le evoluzioni dei grandi volatori, districavano e mettevano su un vassoio esclamando all’unisono: “ Fregna quanti!!”(Perbacco quanti!!),
La campana di Santa Maria suonava a distesa, era la festa del Patrono, e la sua voce sembrava che dicesse ad ognuno:”din din do maccarò, din din do maccarò”e così pure cantilenavano i bambini in un gaio girotondo intorno al tavolo.
Più tardi quei raggi d’oro venivano cotti e su di essi si adagiava un rosso ragù infiocchettato di formaggio, e quel piatto fumante somigliava ai rubescenti tramonti dei monti Lepini che andavano a placare le attese e le ansie quotidiane.
“I Fregnaquanti” non erano solo piatti fumanti, erano il calore della famiglia, la generosità delle donne, erano l’allegria e la riconoscenza degli uomini, lo stupore infantile, erano la religiosità di tutti, erano i profumi ed i colori della nostra terra, essi in un periodo in cui la fame era quotidianità , hanno gratificato il corpo ma ancor più hanno nutrito lo spirito e noi, lepini, ne conserviamo intatta la memoria.
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