Angelo Poliziano (1454 – 1494) fu un bambino prodigio e poeta fiorentino, il cui straordinario talento gli valse la nomina a segretario privato ad opera dello stesso Lorenzo de Medici, che lo incaricò anche del tutorato dei suoi figli, ancor prima di compiere 20 anni. Rispettato filologo, tradusse in latino diverse opere di Epiteto, Platone ed Erodoto, oltre ad altri classici greci. Le sue lezioni di latino e greco guadagnarono una celebrità tale da attirare lo stesso Michelangelo, sebbene correva in giro il pettegolezzo – per alcuni spudoratamente falso, per altri fatto circolare dallo stesso in maniera sotterranea per salvaguardarsi dagli invidiosi e costruire una reputazione di uomo ferito, tenero e delicato – secondo cui con gusto avrebbe rinunciato al suo grande nome e alla sua fama in cambio della salvezza da una vendetta come quella che colpì suo padre quando aveva dieci anni.
Pioniero nell’elaborazione di compulsi insiemi di codici e nel progetto di un nuovo sistema di classificazione dei manoscritti, il suo lavoro poetico e critico – letto, salvo poche eccezioni, da un ridotto circolo di specialisti, come promemoria del fragile e contingente che permea il tutto – ci è arrivato in maniera eccessivamente frammentaria. Il suo contributo più valente lo ha dato al mondo dell’arte, durante la sua feconda relazione con questo universo espressivo. Oltre al già citato interesse di Michelangelo per le sue lezioni, una strofa di un poema di Poliziano servì non solo da ispirazione a Sandro Botticelli per la Nascita di Venere, ma anche a Raffaello, che ne prese spunto per realizzare una delle sue opere più riconosciute, una parte dell’affresco che realizzò verso la fine della sua vita per decorare la villa del ricco banchiere papale, noto viveur e leggendario organizzatore di feste indimenticabili, Agostino Chigi, opera conosciuta dal pubblico a partire dal 1577, anno in cui a seguito della rovina di Chigi, la proprietà venne acquisita dai Farnesio, e rinominata Villa Farnesina http://www.lincei.it/modules.php?name=Content&pa=showpage&pid=27
L’opera illustra ammirabilmente il contenuto dei versi in questione, che avranno poi 100 anni più tardi tanta influenza sulla poesia spagnola, elevandola ai massimi picchi della sua espressione. L’affresco rappresenta il trionfale viaggio marino della ninfa Galatea, talmente bella da essere indescrivibile a parole, su un carro a forma di conchiglia (con le corrispondenti e suggestive connotazioni di venere), trainato da due delfini, che sembrano ridere con lei della grezza canzone d’amore che le ha composto il brutto e sgarbato ciclope Polifemo (figlio infelice del dio Poseidone, con un occhio solo, condannato alla cecità in maniera insuperabilmente e memorabilmente tragica), mentre avanzano sulle onde accompagnati dall’allegra, chiassosa e festosa compagnia di altri dei e ninfe del mare, con la presenza di piccoli cupidi che sorvolano la scena, trafiggendo dal cielo il cuore della splendida Galatea, che si innamora fatalmente del pastore Aci.
Paul OilzumNon si tratta soltanto, come sosteneva Gombrich, del perfetto culmine degli sforzi rinascimentali di raggiungere una composizione armonica di figure in libero movimento. E’ anche con molta probabilità una delle pitture più sensualmente musicali di tutta la storia dell’arte occidentale. Abbandonatevi al suo infinito potere seduttivo quando affittate appartamenti a Roma
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