Siamo in piena emergenza è vero, ma lo eravamo anche nell’autunno del 2011 quando in tutta fretta, saltando un doveroso passaggio elettorale, ci affidammo al super esperto Monti, un ubbidiente funzionario dei massacri, troppo ideologizzato per immaginare una via d’uscita, troppo amico della finanza per tentarla, troppo uomo di seconda file per proporla. Così dalla padella siamo finiti nella brace: straordinario aumento della disoccupazione, caduta verticale del Pil, strage di imprese, netto calo della produzione, tasse più alte del mondo, debito al 130%, per non parlare degli orrendi pasticci compiti in sedici mesi da un gruppo di patetici reperti accademici del pensiero unico. E, come ciliegina sulla torta, diminuzione della competitività.
Ma non basta basta perché i soldi mancano sempre più disperatamente, come del resto accade dovunque si sia agito nello stesso modo: si dovrà ricorrere a nuove manovre e tagli drammatici della spesa, cioè del welfare, per rimanere dentro gli incoerenti e artificiali parametri di Bruxelles: l’Ocse fa sapere che si potrebbe arrivare al 3,4% del rapporto defici-pil facendo scattare l’imposizione di altre ricette demenziali e/o il prelievo forzoso come a Cipro nel caso di crisi bancarie non più supportabili dallo stato. Tutto questo mentre le tesi liberiste partecipano da comprimarie ai funerali della signora Thatcher, i Brics si apprestano a contrastare e contestare la finanza occidentale e il Giappone vara la più grande iniezione di denaro pubblico, mai vista dopo Roosevelt, quando cioè per i paradigmi economici che ci hanno dominati per trent’anni suona il deguello e si aprono anche nuove prospettive di manovra.
Ci sarebbe da far pensare un toro, ma questo Paese perennemente in ritardo si gingilla con gli autorevoli lacerti del passato che incessantemente esprimono le stesse opinioni con supremo sprezzo della realtà, ottenendo l’assegno d’oro al valore della fregnaccia. Forse più di costoro e dei saggi quirinalizi sarebbe meglio ascoltare la saggezza popolare secondo la quale la gatta frettolosa fa i gattini ciechi e cercare di mettere assieme un governo che abbia un senso e che prepari l’uscita del Paese dalle logiche nel quale si è immerso mani e piedi. E se non ci si riesce, solo la legge elettorale e nuovo appuntamento alle urne per riappropriarci del nostro destino . Del resto proprio i mercati che dovrebbero essere allarmati, sono invece assolutamente pacifici, le aste di titoli pubblici vanno bene e persino lo spread è basso: conoscendo la politica italiana sono forse dell’idea che nessuna nuova buona nuova, oppure sono sicurissimi che nessuno oserà opporsi al massacro europeo come invece si comincia a fare in Portogallo e in Irlanda (qui).
Insomma ci vuole un governo con un senso non un governo subito che fatalmente sarebbe un esecutivo di inciucio il cui compito precipuo sarebbe quello di difendere la classe dirigente dal marasama che si sta preparando. Profitti privati e ordine pubblico, iniquità e qualche elemosina, circences mediatici e luci in fondo al tunnel: niente di molto diverso da quel feste farina e forca dei re borbonici.