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Ambientato in una ricca casa, dove i due coniugi vivono una loro crisi senza fine, La gatta sul tetto che scotta è la versione edulcorata o, se così si preferisce dire, politically correct di una commedia molto esplicita in merito alle origini di questa crisi. Sebbene solo uno sguardo accecato da un'intransigente ingenuità possa rimanere abbagliato da una trama poco meno che trasparente, la sceneggiatura edulcorata dello stesso Richard Brooks con James Poe non manca di far notare quanto il letto stia alla base di un matrimonio che s'incaglia e arena.
La gatta sul tetto che scotta di Richard Brooks non è la commedia di Tennesse Williams (e, per lo meno, non è nel senso della fedeltà di Roman Polanski a Yasmina Reza per il recentissimo Carnage), ma non è questo il suo problema. Il punto che mi sembra debole, oggi, a oltre cinquant'anni dalla sua realizzazione, è l'incapacità di superare la dimensione divistica; ovvero, di non conferire a uno splendido Paul Newman e a una conturbante Liz Taylor quel carattere definitorio e, diciamo così, risolutivo di una storia che finisce per risolversi in vaghezza. Il contorno di personaggi, tutti caratterizzati con onesta professionalità, contribuisce a questa nebulosa che si abbatte sulla storia di non amore tra Brick e Maggie.
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Forse, la verità che manca in questo film di Richard Brooks non sta nelle tensioni omosessuali di Brick in Tennessee Williams, bensì quella di rapporti interpersonali fragilissimi e insinceri, basati sulle gelosie e su strutturale incertezza affettiva. Personaggi che glissano su ciò che sanno e su ciò che non sanno degli altri vivono in perpetuo disequilibrio, nell'impossibilità di sbilanciarsi verso una china da prendere nella loro vita.
Come una gatta che, per balzi fortunosi, si trova a camminare su un tetto rovente.