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La generazione dell’attesa

Creato il 24 gennaio 2016 da Cobain86

il valore dell'attesa

In questi anni tutto è diventato rapido, moderno, efficiente: ormai la coda, l’attesa hanno perso significato, sono diventati qualcosa da cancellare. Ma quando non era così? Buona lettura!

Crescendo alla fine degli anni ’80

Nonostante in molte occasioni mi venga chiesto se sono maggiorenne (cosa ironica e paradossale, alla soglia dei trent’anni) non sono più un ragazzino. Ho trascorso l’infanzia e la successiva adolescenza nell’attesa.

Quando da piccolo volevo vedere un film non usciva dopo qualche mese in videocassetta, ma bisognava aspettare tempi biblici di distribuzione, arrivando ad acquistarlo in edicola come allegato di Panorama. La custodia era di cartone riciclato in miniera ma il video era di buona qualità.

L’unico neo che si presenta con le videocassette (idem per la musica) è il problema dell’accesso sequenziale: ore ed ore con il ditino premuto su quel telecomando con i tasti scavati nel cemento vivo per riavvolgere la videocassetta, per poter vedere quel film ancora una volta.  Per le musicassette, successivamente, fu introdotta una tecnologia che permetteva di rilevare le pause tra le varie canzoni, velocizzando l’operazione ma sempre di attesa si parlava.

Telefonia ai tempi di Meucci

Quando i cellulari costavano diversi milioni le persone comuni utilizzavano la cabina telefonica (e anche qui apriti cielo): cerca i gettoni, le monetine, corri al tabacchi che ha chiuso mezz’ora fa, prendi la scheda, chissà se basta, prendine due, cerca una cabina libera nel raggio di 20 chilometri, di solito era pure rotta…

Ore ed ore passate ad ascoltare nonne che stavano partorendo in Messico, coppie che telefonavano dal viaggio di nozze a Velletri, cugini che inauguravano la prima 500 per andare in vacanza a Rimini, bambini che chiamavano le mamme dalla colonia per rassicurarle, spiegando che mangiare uno yogurt il giorno successivo alla scadenza non genera necrosi dell’intestino e successivo decesso.

Tu aspettavi fiducioso che, alla persona attaccata alla cornetta, sopraggiungesse un decesso per un embolo o un ictus, ma ciò non accadeva: aveva svuotato il porcellino di casa del peso netto di 15 chili e 800 grammi, quindi continuava a caricare monetine come se non ci fosse un domani. Io ti amo, tu mi ami… io amerei telefonare, pensa un po’!

Internet, questo sconosciuto

Quando Internet non esisteva (sembra incredibile ma è successo, vi sono testimonianze storiche documentate) le persone dovevano recarsi fisicamente ai negozi, con tutto quello che ne consegue.

Il prodotto che cercavi, 8 volte su 10, non esisteva, non era arrivato, era in prognosi riservata o ne ignoravano totalmente l’esistenza. Mandarlo a prendere per poterlo consegnare al cliente comportava due settimane d’attesa circa, e quindi ti rivolgevi ad un altro negozio ancora, facendo il giro delle sette chiese, fino allo sfaldamento dei tuoi sandali Primigi acquistati ieri.

Oltre al problema dell’assortimento (limitato e per i modelli più richiesti, come avviene tutt’ora per non creare troppo magazzino) si aggiungevano tutta una serie di problemi, di cui ancora oggi soffriamo: trova il parcheggio, no è un passo carrabile, cerca la moneta/il gratta e sosta/paga con lo smartphone, attendi due ore in fila, benedici la Madonna, ok forse ora puoi eseguire il tuo acquisto, no non accettano il bancomat, ho solo 10.000 lire…

Le prime connessioni Internet erano la sublimazione dell’attesa: il modem 56K per connettersi eseguiva quella simpatica musichetta, con quel delicato rumore di catarro come sottofondo, che invitava le persone a visioni mistiche, nell’attesa che finalmente la rete fosse disponibile.

Concludendo

Abbiamo passato infanzia e adolescenza in coda, in attesa di qualcosa, che fosse il regalo di Natale o l’ultima action figure di Batman, sfrantecandoci i beneamati e imparando a memoria una frase che è sempre con noi: “Avanti, non ho tutta la vita per aspettare lei, ho dei figli che vorrei vedere crescere prima che ritirino la laurea, ho una moglie che non vedo da 10 anni…”.

Come moderni Ulisse aspettavamo ore per raggiungere l’oggetto del nostro desiderio, sublimandoci e gustando l’attesa in modo magico, prezioso e speciale. Nella nostra povertà ed arretratezza tecnologica abbiamo appreso qualcosa che ai giovani d’oggi, drogati di tecnologia e smartphone, forse manca: abbiamo imparato ad annoiarci, magari stringendo amicizia con il nostro vicino di fila o mentre viaggiavamo in treno, sviluppando rapporti umani e anticipando Facebook di 30 anni circa.

Dici niente!

Marco


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