La gentilezza è carismatica

Creato il 05 febbraio 2013 da Insolitameta @insolitameta

la gentilezza è carismatica,

allieta chi la riceve e chi la dà,

stordisce il male e la sua banalità.

Così cantavano i Marlene Kuntz qualche tempo fa.

Quanta verità in così poche parole! 

Ad Istanbul ho trovato tanta di quella gentilezza e disponibilità da commuovermi.

Bè, potrà rimproverarmi qualcuno, in una città di 13 milioni di abitanti saranno mica tutti gentili, ti è andata bene!

Vero, sicuramente la fortuna è stata dalla nostra.

Ma devo dire che ho rintracciato una tale attenzione nei confronti del turista che non mi era mai capitata altrove.

Al nostro arrivo in città il bus preso in aereoporto ci scarica a Taksim nel giro di mezz’ora. Paghiamo e tanti saluti e arrivederci.

Provate a immaginare Taksim verso le sette di sera: una piazza enorme, il centro della città moderna. Piena di gente, giorno e notte. Qui sfocia la grande via dello shopping, Istiklal Caddesi. È il punto di ritrovo dei giovani che si apprestano a cominciare la serata, il luogo in cui si concentrano venditori di kebab, pasticcerie e fast food, la stazione degli autobus, il capolinea del caratteristico tram bianco e rosso.

Insomma, c’è tutto.

Anche i lavori in corso.

Sappiamo che il nostro albergo è da queste parti, nel quartiere di Harbiye. Indirizzo e cartina in mano cominciamo a camminare. Un negoziante, a suon di poco inglese e tanti gesti, ci dà una prima indicazione (sacrosanta).

Cominciamo a scarpinare con i nostri bagagli pesanti, c’è un caldo incredibile nonostante sia il 25 dicembre e i  nostri vestiti sono troppo pesanti. Ben presto ci accorgiamo di camminare a vuoto, la cartina, poco dettagliata, e i lavori che ci costringono a cambiare continuamente strada, non ci sono per niente d’aiuto.

Chiediamo lumi ad un signore che sta fumando una sigaretta sull’uscio di un mini market. Lui non riesce a suggerirci nulla, ma chiama il figlio che lascia immediatamente la cassa e la lunga coda di gente per venirci in aiuto. Nel giro di pochi minuti si fermano altri passanti e si forma un piccolo gruppo di lavoro desideroso di partecipare alla discussione. Una signora si ferma, guarda la cartina, e comincia a gesticolare Io so dove dovete andare, seguitemi! sembrano dirci le sue mani. 

Una lunga passeggiata, con la donna che di tanto in tanto guarda e sorride, e siamo a destinazione. Lei ci saluta, la vediamo tornare indietro. Forse doveva andare altrove – pensiamo – e ha fatto tutta questa strada solo per noi. Sono le nostre prime ore a Istanbul e tanta disponibilità ci emoziona.

Qualche giorno dopo ci troviamo a passeggiare nel quartiere di Fatih, un piccolo paradiso non turistico, e ad entrare in un negozietto di casalinghi. Due uomini dalla faccia triste sorseggiano un bicchiere di Çay e balzano in aria non appena ci vedono entrare. Si accorgono che siamo turisti, ci chiedono da dove arriviamo e cominciano a raccontarci con occhi lucidi le loro avventure in giro per l’Europa. Loro parlano in turco, noi rispondiamo in italiano. È veramente incredibile riuscire a capirsi, nonostante tutto.

Le emozioni non necessitano traduzioni.

L’ultimo giorno in città ci perdiamo cercando diperatamente i quartieri di Fener e Balat. È buio pesto e pioviggina. È ora di tornare verso casa (=albergo, ma odio chiamarlo così). Siamo alla disperata ricerca di un mezzo qualsiasi che ci porti dove c’è vita e ci scappa anche tanta pipì! Scorgiamo finalmente una via abitata. E un autobus al capolinea che sta per partire. Ci fiondiamo come pazzi, peccato che, saliti giusto in tempo, la nostra Istanbul Kart decide che non abbiamo più viaggi a disposizione. Il conducente dice qualcosa. Un ragazzo traduce in inglese: non potete viaggiare senza biglietto, qualche metro più avanti trovate un negozio per ricaricare, andate, vi aspettiamo.

Peccato che il negoziante abbia altro da fare in quel momento e ci fa aspettare almeno dieci minuti prima di servirci. Sconsolati torniamo alla piazzola.

Incredibilmente l’autobus è ancora lì, carico di gente a bordo. Ci ha aspettati sul serio. Saliamo e l’autista fa un cenno col capo, sorride.

Gli abbiamo fatto perdere almeno un quarto d’ora e lui… sorride.

A tutti quelli che continuano a domandarmi se Istanbul è pericolosa. Ecco la mia risposta.


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