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Giappone, Africa, Turchia: i libri di giugno

Creato il 19 giugno 2015 da Patrickc

Quattro nuovi spunti per viaggiare con le parole.

I libri di giugno

I libri di viaggio di giugno

1. Itadakimasu, Umilmente ricevo in dono, di Fabio Geda

Tokyo ha modificato alquanto la mia soglia dello stupore.

Nonostante la complessità di questo luogo straordinario. Nonostante sappia che dovrei stare qui anni per cercare di comprenderlo, impadronirmene e forse non ci riuscirei mai; nonostante questo, ecco, la cosa che davvero importa (a me) è ciò che questo luogo rappresenta in me.

Dovrei partire dall’inizio e invece parto dalla fine, perché Fabio Geda nelle ultime pagine ha trovato le parole esatte, perfette per descrivere la strana sensazione che ti lascia un primo viaggio in Giappone. Io ci ho messo un po’ di tempo in più per trovare le parole giuste, sette viaggi. Il libro è questo, un primo incontro, il racconto di una scoperta. Ed è emozionante rivivere questo momento irripetibile attraverso gli occhi di un’altra persona. Geda scrive nel suo stile, surreale, leggero, con una voce che si sente subito vicina. Scopre usanze, stranezze e soprattutto il cibo di Tokyo nei suoi luoghi più famosi  —  Asakusa, Mitaka, Akihabara, Tsukiji e altri  —  con lo sguardo umile e meravigliato di un occidentale colto, acuto e sensibile che arriva per la prima volta e ha la fortuna di essere preso per mano da qualcuno del posto, in questo caso personaggi che abitano il mondo della fantasia, come il signor Nakata, protagonista di un libro di Haruki Murakami. Oppure Mikage, creata da Banana Yoshimoto in Kitchen.

Perché il Giappone è anche questo, un’immagine (per l’autore è un Giappone-ossimoro) che molti di noi si sono costruiti anche attraverso la il modo in cui ci arrivano la sua cultura, i suoi scrittori, i suoi artisti ed è inevitabile che sia anche questa a guidarci in questo avvicinamento. Qui sono la grande bellezza e anche il limite di questo breve libro, perché si ferma un po’ sulla superficie, senza mettere davvero alla prova il Giappone sognato.

Il testo è anche ricco di citazioni e di spunti, per approfondire.

Itadakimasu, umilmente ricevo in dono, di Fabio Geda, 133 pagine, EDT.

2. Il cielo di maiolica blu – Un’insolita storia d’amore per la Turchia

Alcune volte succede che la realtà superi da un lato l’immaginario, ma dall’altro faccia entrare quei luoghi in un archivio segreto, dove si tengono i posti da rivedere, perché la prima visita non è stata soddisfacente.

Questo non è un libro di viaggio e i moltissimi capitoli di cui è fatto non hanno l’andamento di un racconto. Eppure questo libro è una storia, proprio come dice il sottotitolo. E’ la storia di un amore per la Turchia che attraversa gli anni e che si è nutrito di ritorni, di passione, di curiosità. E’ una storia che ha il calore degli affetti di famiglia e dei ricordi — che emergono qua e là — e che si mescola con i profumi e i sapori che insegue per l’Anatolia, dall’aroma dello zafferano del Mısır Çarşısı (il Bazar delle spezie di Istanbul) a quello dell’otlu peyniri, il formaggio alle erbe che si gusta a colazione nei kahvaltı salonu di Van, all’estremo est del Paese, per arrivare fino alle regole per preparare un vero çay, il tè turco (che sorprendentemente arrivano solo verso la fine), bevanda che unisce tutto il Paese.

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Quello di Federica Giuliani (blogger di Travel to taste e profonda conoscitrice della Turchia) è un libro che si può leggere come un saggio dall’inizio alla fine, per lasciarsi trasportare da questa storia, o un po’ alla volta spulciando fra i capitoli, come una piccola enciclopedia della Turchia o una guida, che offre storia, leggende e aneddoti rivelatori, invitando ad andare oltre i luoghi comuni e i posti più frequentati. Oppure si può leggere al ritorno da un viaggio, per capirlo meglio e riviverlo fra le sue pagine. E’ quello che è successo a me: in questa storia ho ritrovato tanto del mio primo grande viaggio in Turchia, ormai dieci anni fa: dall’affascinante sincerità di Uchishar, il paese in Cappadocia dove un tassista non mi voleva portare (“Perché ci vai? Ci dormono solo i francesi”), all’emozione fra i colori e i sapori dell’affollato bazar di Urfa, dove restai seduto per ore solo per vedere la gente che passava e il modo in cui era vestita. E’ anche una Turchia che cambia, non sempre in meglio. E sono sicuro che se anch’io tornassi (l’ho fatto purtroppo una sola volta da quel lungo viaggio) proverei la stessa nostalgia che affiora nel libro: quella di chi torna dopo molto tempo e non trova ciò che ricorda.

Corredato di belle foto dell’autrice.

Il cielo di maiolica blu, di Federica Giuliani, 256 pagine, goWare.

3. Dark Star Safari, di Paul Theroux

Si va via per lungo tempo e si torna diversi: non si percorre mai tutto il cammino a ritroso. Si pensa: Io è un altro, come Rimbaud.

Il viaggio è transizione (…) Detestavo piombare dal cielo in un luogo. Avevo bisogno di saper collegare un luogo con l’altro. Una delle cose che mi sconcertavano, riguardo al viaggiare in generale, era la facilità con cui una persona può essere trasportata velocemente all’insolito (…) andare piano (…) era il sistema migliore per avere sempre presente che c’è un rapporto tra Qui e Là.

Dal Cairo a Città del Capo, via terra. E’ un’idea che emoziona solo a pensarci. Ma non solo è l’itinerario a rendere speciale questo viaggio, compiuto anche da altri (vedi Vado verso il Capo) e a rendere questo libro così potente, coinvolgente. Theroux in Africa ha vissuto per anni come volontario dei Peace corps (in Malawi e Uganda), un periodo determinante per la sua vita. Qui ha trovato la sua vocazione (“Non ero soltanto libero di scrivere, in Africa: avevo anche qualcosa di cui scrivere”). E forse ha sempre amato questo continente in cui fugge a trentacinque anni di distanza, pieno di domande su quello che è successo nell’arco di oltre trent’anni, ma anche con l’idea di lasciarsi alle spalle tutto quello che pesa sulla sua vita, dalle segreterie telefoniche, alla burocrazia, agli impegni. Va in Africa per sparire in un continente che appare una specie di gorgo impenetrabile. E  ci riesce, mentre si sposta affannosamente con canoe, treni, bus, carri bestiame affronta disillusione, amarezza, sofferenza, paura accompagnate da momentanee rivelazioni. Ma non trova quello che aveva lasciato, non c’è più la speranza: Theroux trova città orribili e inquietanti, un continente in disfacimento, in gran parte a causa del mondo occidentale, del colonialismo, pure del turismo, ma anche della corruzione e del fanatismo locali.

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Dark Star Safari

E mentre viaggia osserva con sgomento i danni fatti spesso con le migliori intenzioni da volontari e Ong. Forse è la fatica a prendere il sopravvento, forse è la rabbia per quello che vede, ma Theroux — famoso per i suoi giudizi taglienti — diventa sempre più sprezzante nei confronti dei volontari occidentali e delle loro auto scintillanti che sfrecciano per le città africane, definendoli “spesso dei completi bastardi”. E così l’autore arriva alla fine di questo viaggio sfinito e con molte più domande di quando era partito. E forse torna anche con un po’ di rammarico, quello di non aver ceduto alla tentazione di scomparire del tutto, nell’immensità di questa stella oscura.

Gli dissi ‘Sitaki kufta’, non voglio morire. Lui disse in inglese: “Non vogliono la tua vita, bwana, ma le tue scarpe”.


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