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La Germania è davvero un paradiso per i rifugiati?

Creato il 21 settembre 2015 da Propostalavoro @propostalavoro

GermanyUn articolo del 19 settembre apparso sul fattoquotidiano.it titolava “Migranti, un miliardo per l’accoglienza. Spreco di denaro: in Germania l’asilo è concesso in 3 mesi, in Italia si arriva a 18″. Nel pezzo si sottolineava come nel nostro Paese i tempi per l’esame delle domande e il riconoscimento dell’asilo fossero lunghi e come questo si ripercuotesse inevitabilmente sui costi per l’accoglienza.  A proposito del periodo di emergenza Nord Africa  nell’articolo si legge “Siccome un centro di accoglienza è sempre pagato in media tra i 30 e i 35 euro al giorno per ogni ospite, se avessimo ridotto i tempi di permanenza nei centri, avremmo potuto spendere cifre ancora più vicine a Francia e Regno Unito, invece che oltre 21 mila euro ogni profugo”. Come al solito, se si fanno paragoni di efficienza con il resto d’Europa, ne usciamo sempre perdenti, se poi, come prosegue l’articolo, il paragone è con la Germania allora la nostra presunta efficienza risulta ancora più evidente.

Siamo così abituati ad essere considerati un cattivo modello rispetto ai nostri efficientissimi partner europei che quasi non ci chiediamo più se davvero all’estero funzioni sempre tutto alla perfezione. Eppure non è difficile scovare articoli che mettono in discussione questa certezza. Più o meno un mese fa la rivista Internazionale ha dedicato un reportage dal titolo "La Germania non è paradiso per i migranti" alla gestione dell’accoglienza dei migranti dei Germani  dove addirittura si legge “Secondo Amnesty international, in Germania ci vuole almeno un anno per un richiedente asilo per avere un appuntamento con le autorità e presentare la sua domanda. Per avere una risposta poi possono passare anni” e ancora “Molti comuni della Germania si sentono sopraffatti dal numero crescente di rifugiati e la domanda più frequente che si sente ripetere sul tema è: dove li mettiamo? C’è chi li ha messi nelle caserme vuote, chi nelle palestre, chi chiede ai cittadini di ospitarli in casa, chi li mette nei container, chi nelle tende. Ma, invece, ci si dovrebbe occupare di farli uscire nel minor tempo possibile dalla condizione sospesa in cui si trovano”. 

Difficile capire come si possa passare dai 3 mesi del Fattoquotidiano agli “anni” di Internazionale e una possibile spiegazione ce la da il reportage stesso  che a proposito dei tempi di esame delle domande di asilo spiega che “In parte dipende anche dalle nazionalità dei richiedenti asilo: i siriani e i profughi dei Balcani (albanesi e kosovari) hanno procedure prioritarie. Non è così per i palestinesi o per gli eritrei, in fuga dalla dittatura di Isaias Afewerki, sempre più spesso diretti in Germania”.

Non si può negare che il nostro Paese abbia ancora molto da imparare sulla gestione dei fenomeni migratori ma non convinciamoci sempre che nel resto d’Europa abbiano sempre la soluzione pronta perché non è così. Le difficoltà dovute all’afflusso così massiccio di migranti sono le stesse per tutti i Paesi e persino per l’efficientissima Germania. Ma non si sa perché, in Italia, si fa sempre prima a parlare male di noi stessi.

Alessia Gervasi


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