L’occhio italiano che guarda alla Germania è un occhio dissociato: vede Saturno che divora i suoi figli
L’occhio italiano che guarda oggi alla vittoria della Germania è quello di un dissociato. Osserviamo attratti questa grande nazione, ne subiamo il fascino e la virtù, l’impeccabile capacità di conduzione, ma alcune considerazioni ci costringono a un violento distacco. Quello che esiste nei confronti della Germania è un sentimento difficile e contraddittorio, uno strano amalgama di attrazione e repulsione, stima e diffidenza. Se guardiamo oggi alla Germania, vediamo un paese in cui hanno trionfato la fiducia e il rigore. Ha vinto il sacrificio di un popolo, guidato dalla fermezza e dal buonsenso di una classe politica coerente, rappresentata in questi anni dalla cancelliera Angela Merkel.
Il suo grande merito è quello di aver tutelato gli interessi del proprio paese, pur attraverso una politica di deflazione salariale. Se facciamo un passo indietro, solo quindici anni fa era la Germania il “grande malato” d’Europa, ed ora eccola qua, come l’araba fenice che rinasce dalle sue ceneri, è divenuta l’azionista di maggioranza della moneta unica, da cui dipendono le sorti dell’eurozona. È da questo quadro così apparentemente cristallino che deriva tutta la nostra reverenza e la Merkel, bisogna dirlo, ci ha saputo fare. Lei stessa ha sostenuto, tra un applauso e l’altro, che “se ce l’ha fatta la Germania possono farcela tutti”. Un incoraggiamento non privo di insidie, però, perchè le cose non stanno proprio così. Se la Germania è riuscita a imporre la sua leadership europea, è anche grazie alla notevole ripresa della sua economia: questo è vero, ma non è tutto. La Germania non ha badato a spese per riformare il mercato del lavoro e sussidiare le imprese – cosa che noi non abbiamo fatto né potremmo permetterci di fare. Si è spesa molto per aumentare la produttività a discapito di salari più bassi, ma in cambio i tedeschi hanno una disoccupazione giovanile al 7,8%, (e la nostra è al 38%).
Ma non possiamo addossarci tutte le colpe, perchè l’Italia è un paese martoriato non su uno, ma su due fronti: se da una parte pesa, infatti, l’incapacità della nostra classe politica di tenere il timone, dall’altra non possiamo fare a meno di puntare il dito contro la Germania, come la complice dei nostri mali – e non solo dei nostri. L’economia della Germania, infatti, è costruita in modo da essere sempre in attivo, con esportazioni molto superiori alle importazioni, cosa che non succede per noi e per i restanti mebri dell’eurozona. Squilibri commerciali che favoriscono soltanto i tedeschi e penalizzano paesi come Italia, Spagna, Grecia e Portogallo.
È vero che per esportare più di quanto si importa, bisogna produrre più di quanto si consuma e, quindi, avere un’etica che esalti la virtù della risparmio. E il rigore collegiale tedesco merita tutta la nostra stima. Ma la Germania non è solo un paese rigoroso e parsimonioso, o perlomeno, non lo è per noi. Il nostro occhio dissociato - come quello degli altri paesi dell’UE - vede anche un’altra Germania: una Germania-killer, una nazione che, nella volontà di crescere, sta divorando pian piano gli altri euro-paesi. È una Germania che somiglia al famoso dipinto di Goya, Saturno che divora i suoi figli. Un’associazione inquietante, ma l’immagine ci porta esattamente nella visione dell’ occhio con cui guardiamo la Germania, con cui ci dissociamo da un’ovvia ammirazione e denunciamo in essa l’altro, oscuro, volto. L’altra faccia di una stessa medaglia: la storia di un paese uscito dalla crisi che, mentre guariva, contraeva il delirio d’onnipotenza.
Ciò è avvenuto con una semplicità agghiacciante. Per far sì, infatti, che la Germania fosse sempre in attivo, era necessario che altre nazioni fossero sempre in disavanzo commerciale nei confronti con l’estero. È una questione di complementarietà commerciale inevitabile. È evidente che la “virtù” tedesca sia ingrassata a spese del “vizio” altrui. Un paese esportatore come la Germania ha tratto beneficio dalla debolezza della moneta unica, sfruttando le difficoltà economiche degli euro-paesi membri, già compromessi da un forte deficit. Il grande zelo del progetto europeista voluto dalla cancelliera ha, in sostanza, elevato solo sé stessa e fagocitato le nazioni che ne fanno parte, mentre i suoi diktat continuano a non fare altro che ingigantirne e accelerarne la crisi.
Quarantacinque miliardi sono stati versati nei fondi salva-stati per sostenere i paesi dell’UE. La verità è che, guardando alla vittoria della Germania, non riusciamo a provare ammirazione senza poi distaccarcene sentendo quel bruciante fastidio di invidia mista a rabbia, mortificazione e impotenza. È vero, non possiamo incolpare solo l’euro, la Merkel, la Bce: è il nostro governo che, per primo, non sta facendo nulla, intrappolato dall’interno con una presidenza ormai stantia, e dall’esterno con il progetto dell’Unione Europea che ci sta schiacciando sempre di più. Il governo delle larghe intese, le riforme proposte da Letta, i patti di stabilità, sembrano tanti panni stesi ad asciugare al sole, in attesa che questo periodo di transizione trovi nuovi sbocchi, o nuovi oblii. In Germania si ride, mentre in Italia si piange. È da questa frustrazione che l’italiano guarda oggi alla grande Germania con sguardo dissociato e spaventato. Come potevano coesistere armonicamente economie così differenti all’interno di un’unica moneta? Solo i più forti potevano emergere sui più deboli: è quello che ha fatto la Germania. Ha guardato lungo e di questi squilibri ha sapientemente approfittato. Se la Merkel è tanto amata e acclamata dal suo popolo, il nostro occhio dissociato non può smettere di avere davanti a sé quell’immagine di Saturno che divora i suoi figli.