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La gestione dei conflitti genitore-figlio e la Comunicazione Nonviolenta

Da Chiarap_79
Alcuni giorni fa ho preso in prestito dalla libreria pubblica dell'ufficio in cui lavoro il libro "Crescere i bambini con la Comunicazione Nonviolenta".
Che ci fa un libro del genere in un contesto lavorativo? Beh, in primo luogo bisogna considerare che come me parte della popolazione aziendale oltre che essere semplicemente lavoratore è anche genitore. In secondo, la Comunicazione Nonviolenta rappresenta un valido strumento per relazionarsi in "n" contesti ed uno di questo è l'ambito lavorativo. Terzo, la mia azienda su certe cose sta proprio avanti, ma questo è un altro discorso.
La gestione dei conflitti genitore-figlio e la Comunicazione Nonviolenta
La Comunicazione Nonviolenta (CNV), conosciuta anche come Comunicazione Compassionevole o Comunicazione Collaborativa (guardate un pò che meraviglia di nomi!), rappresenta una modalità di linguaggio sviluppata da Marshall Rosenberg e che si basa sulla costruzione di una forma di comunicazione capace di risolvere in modo costruttivo qualunque tipo di conflitto scaturente da una relazione. Conflitto che tende a degenerare nel momento in cui le parti non riescono ad individuare una strategia efficace per riuscire a soddisfare le reciproche esigenze. E qui mi viene vagamente in mente anche la nota teoria dell'equilibrio di Nash.
La CNV dunque si basa su tre pilastri:
- l'auto-empatia, ossia la capacità di riconoscere profondamente ed in modo compassionevole la propria esperienza interiore, il proprio sentire.
- l'empatia, ovvero il riuscire ad ascoltare il sentire dell'altro in modo compassionevole,
- l'auto-espressione onesta, il saper comunicare in modo onesto il proprio senso di bisogno e di disagio in modo tale che questo inspiri compassione nell'altro.
Il segreto più bello e commovente di questa teoria si basa sull'idea che il senso di compassione è qualcosa di naturale ed è insito in ognuno di noi: i bisogni umani universali non sono mai in conflitto tra di loro mentre i conflitti  sorgono solo nel momento in cui le strategie per soddisfare bisogni personali si scontrano.
Conducendo le riflessioni su come sia possibile applicare il linguaggio nonviolento in un rapporto genitore-figlio, il libro si apre con un esempio emblematico che espone con efficacia le dinamiche e le modalità generalmente adottate dagli adulti nell'affrontare le situazioni di conflitto con i bambini.
Marshall spiega che durante un seminario rivolto ai genitori aveva diviso i partecipanti in due gruppi facendoli accomodare in due stanze distinte ed assegnando loro il compito di scrivere su un foglio di carta un esempio di dialogo tra loro ed un'altra persona in una situazione di conflitto. Ad un gruppo veniva assegnata come controparte un vicino di casa, all'altro un bambino. Fu interessante dunque notare come, nel corso di diversi esercizi del genere, normalmente le persone mostravano un atteggiamento di meno rispetto ed empatia verso i bambini piuttosto che verso i vicini di casa, come se l'età adulta sia considerata un pre-requisito per riconoscere autorevolezza e rispetto alla controparte.
Non so voi come siete stati educati ma in casa mia l'atteggiamento di autorità e di richiesta forzata di rispetto delle regole è da sempre stato utilizzato. Mia madre e mia nonna personificavano l'immagine del tipico capo-famiglia. Le regole erano poche ma chiare e non si potevano sgarrare. Contavano fino a tre "Unoooo, dueeee e.... " e al tre non ci arrivavano mai perchè per la paura di quella che sarebbe stata la conseguenza, che solo in poche occasioni ho avuto la brava curiosità di sperimentare, obbedivamo tutti come soldatini. Le punizioni esistevano e venivano somministrate con rigorosa solerzia ma anche con quello che io ritengo alla fine un saggio approccio. Del tipo, mia madre non mi ha mai obbligato a studiare, semplicemente mi spiegava "Organizzati come vuoi tu le giornate ma se non porti buoni risultati da scuola io non ti pago più le lezioni di danza!". In questo modo si è anche sviluppato in me un vago senso di responsabilità. Mia nonna invece non sopportava i capricci e minacciava "Se non smetti di frignare ti metto in punizione!". Ed allora ci portava in una stanza e prima di chiudere la porta spiegava con fermezza "Qua ti puoi sfogare, quando hai finito di fare la lagna puoi venire di là".
Ricordo qualche sculacciata, uno schiaffone in età adolescenziale ma a parte questo le mani da noi non sono mai state utilizzate.
Il metodo mostrato nel libro, invece, si basa su approccio alquanto sfidante, soprattutto per chi come me ha avuto un'educazione completamente diversa: abbandonare le tattiche coercitive come la punizione, la ricompensa e la permissività per andare ad instaurare con il proprio bambino una connessione basata sul reciproco rispetto in cui genitore e figlio sono entrambi consapevoli che i propri bisogni ed il benessere dell'altra persona sono ugualmente importanti e strettamente interdipendenti.

La logica si basa sul fatto che l'atteggiamento genitoriale mirato all'obiettivo "il bambino deve fare quello che dico io" rappresenta per il figlio una minaccia per la sua autonomia compromettendo il suo diritto a scegliere quello che per esigenza sente di fare. In questi casi quando i bambini, o ragazzi che siano, percepiscono una forma di pretesa è difficile far cogliere loro il valore di ciò che viene richiesto ed in genere reagiscono con un atteggiamento di rifiuto e di negazione. Inoltre, si aggiunge il rischio che il bambino possa credere che i genitori offrano loro affetto e rispetto solo a condizione che facciano quello che loro vogliono.
Marshall sostiene dunque una realtà in cui io credo profondamente ossia che l'amore incondizionato prescinde da come le persone si comportino per cui, in qualunque circostanza, riceveranno dai genitori una comprensione profonda. 
Sempre per mia esperienza personale e riferendomi al caso dell'impegno a studiare mia madre non mi ha mai obbligato ad andare a scuola il giorno in cui non mi sentivo preparata. Anche quando il pomeriggio prima non avevo sacrificato la danza per lo studio. Incoerenza? Forse semplice comprensione, nonostante il suo chiaro atteggiamento di coercizione.
Dunque, la comunicazione non violenta si basa soprattutto sul comunicare il proprio stato di disagio, comprendere quello dell'altra parta e trovare insieme una soluzione. Marshall spiega nel libro una situazione di conflitto con suo figlio incaricato di portare la spazzatura fuori casa due volte la settimana. Ogni volta era uno scontro quando un giorno il padre prese il figlio per chiedergli come potevano insieme trovare una soluzione costruttiva per soddisfare entrambe le esigenze evidentemente in conflitto: per il padre avere la pattumiera pulita (per essere sintetici) per il figlio fare quello che voleva. Il figlio allora chiese che il padre spiegasse ogni volta se quella che avanzava era una richiesta o una pretesa. Modificando l'approccio dunque il figlio si ritrovò più o meno sempre a fare quello che il padre desiderava come richiesta.
Ok, io ci ho provato! L'ultimo esperimento l'ho fatto ieri sera. Eravamo tutti e tre a tavola. Davide aveva una fetta di pane tra le mani e si stava divertendo a staccarne le bricioline ed a buttarle a terra.
Mi sono chiesta. Perchè sta facendo questo? Semplice, si stava divertendo a provocarmi! Mica le stava buttando nel piatto! Dunque ho provato a fargli presente la mia esigenza "Amore, ti prego, non buttare per terra le bricioline. A mamma le fa male la schiena e per chinarsi a raccoglierle poi le farà male ancora di più". La sua attività ha incominciato a farsi dunque ancora più impegnata. In più indossava un sorrisetto beffardo del tipo "E mo' che mi fai?". Gli ho spiegato nuovamente la mia esigenza stavolta cercando di svegliare in lui il maggior senso di compassione possibile (stavo quasi frignando). Ma che! continuava ed ora rideva sonoramente. Sono passata dunque alla coercizione "Se continui mamma ti toglierà il pane". Continuava. Gli ho tolto il pane. Si è messo a frignare. Ed io "Se ti ridò il pane non butti più le mollichine per terra?". Si, mi ha fatto lui. E non le ha più buttate.
Ecco, la mia non era proprio una richiesta quanto una pretesa. Ma la sua non mi sembrava neanche tanto un'esigenza!
Ecco questa metodologia è molto comune nella nostra relazione. Insomma parto bene ma poi ripiego sulla coercizione abbinata eventualmente al metodo ricompensa. Insomma il fallimento più totale secondo il metodo della comunicazione nonviolenta!
Ma altre volte sono più brava. Quando ho tanta tanta pazienza (e vi assicuro che in genere ne ho tanta a meno che non siano i giorni prima del ciclo, abbia dormito poco o sia in ritardo) adotto il metodo da me coniato "Se non riesci a convincerlo, confondilo!". Vuole camminare facendo strusciare a terra sotto il piede l'apri bottiglie con il rischio che mi rovini il pavimento? Gli spiego la mia motivazione e glielo sostituisco con il sottopentola di sughero fingendo che sia più fico! Vuoi suonare le pentole con il cucchiaio di acciaio ma dopo 10 minuti di martellamenti non ne sopporto più il rumore? Gli spiego che ho mail di testa e provo a sostituirgli il cucchiaio con uno di legno che almeno un pò attutisce il suono (ma non sempre è d'accordo con me!). Non vuoi indossare una maglietta che mamma ha scelto per te? Gliene prospetto altre due che per caratteristiche siano simili e gli faccio indossare quella che lui preferisce.
Altre volte invece sono espressione del peggio di una madre. Incomincio ad urlare e qualche rara volta mi scappa pure una sculacciata. E mentro lo faccio mi rendo conto che non mi sopporto e che questo atteggiamento non porta veramente a niente. E' decisamente il più controproducente se non che immediatamente dopo rinsavisco chiedo scusa e cerchiamo di trovare una nuova soluzione.
E poi c'è il metodo della stanza della punizione quello di mia nonna per intenderci. Capisco che per alcune di voi questo metodo è inconcepibile ma secondo me ha un senso. Nella stanza il bambino, che nel momento del conflitto sta semplicemente sfoderando il suo capriccio migliore (che non necessariamente è espressione di un'esigenza non soddisfatta), ha modo di sfogarsi e di far esprimere liberamente il suo senso di frustrazione, che è sano perchè sentimento comune ad ognuno di noi e che deve imparare a saper gestire e quindi controllare. Quando Davide è nella stanza piange e si dispera per non più di 5 minuti. Di solito poi smette di botto e si ripresenta con un sorriso vivace come se niente fosse successo. Se entro i 5 minuti invece non smette di piangere vado io da lui. Lo prendo in braccio e chiedo se vuole fare pace con mamma. Ci abbracciamo, ci baciamo e ritorniamo a comunicare.
Insomma, alla fine di questo lunghissimo post ecco la mia considerazione finale.
Io penso che la CNV rappresenti una valida linea di guida in grado di aiutare un genitore a costruire un rapporto di ascolto, rispetto e di empatia con il proprio figlio. Tuttavia come tutte le linee pedagogiche penso che anche questa debba essere applicata in modo ragionevole, adattandola al rapporto unico e speciale che si ha con il proprio bambino e tenendo comunque in considerazione che lo scontro genitori-figli è inevitabile. In molti casi infatti non si tratta semplicemente di gestire conflitti ma anche di impartire un'educazione. Il che non significa costringere i figli a "fare quello che vogliamo noi" ma aiutarli a capire che nella vita esistono delle regole imprescindibili dal proprio volere e che bisogna rispettare in qualunque contesto di vita familiare e sociale.
Detto ciò, questo è l'approccio più o meno sensato che personalmente adotto per gestire le attuali situazioni di conflitto con mio figlio. Forse sto andando bene. Sicuramente devo ancora imparare molto.
A questo punto volevo chiedervi, cosa ne pensate della comunicazione non-violenta? Riuscite ad adottarla nella vostra famiglia? Come provate a gestire le situazioni di conflitto? Avete qualche suggerimento utile da proporre?

Ecco che questo post vuole essere soprattutto un'occasione di confronto per discutere insieme di metodi ed approcci diversi che possono essere spunto di riflessione e di approfondimento per ognuna di noi! Grazie in anticipo a chi vorrà offrire la sua esperienza come madre o anche semplicemente come figlia.

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