Ricorre ogni 22 aprile la Giornata mondiale della terra che vuole far riflettere sul futuro dell’ecosistema, sofferente per alcune ferite che gli infligge l’uomo. Dallo sfruttamento maldestro dei terreni, ai rifiuti interrati illegalmente, all’inquinamento di suolo, corsi d’acqua, aria, e chi più ne ha, più ne metta.
Nella giornata di oggi ricordo con un sorriso e tanta nostalgia mio nonno Bernardino, contadino e amante della terra. Appassionato del suo lavoro, trascorreva le giornate intere nei campi vicino casa, acquistati da lui con sacrifici economici fatti di privazioni varie.
Coltivava di tutto, piantava alberi da frutta, sperimentava innesti, seguiva il calendario lunare per semine e raccolte, tagliava i rovi, innaffiava i terreni con l’acqua del pozzo, e se c’era qualcosa da trasportare si faceva aiutare dal suo asino. Usava il letame come fertilizzante e la rotazione delle colture per avere maggiore resa. E quando stava male era un dramma perchè doveva restare a casa, senza poter andare come diceva “in mezzo la terra”. La domenica, invece, riposo. Si alzava presto e andava in chiesa a piedi, per poi fermarsi in piazza a fare quattro chiacchiere con gli amici della piazza.
Era un uomo semplice, ricco di sano principi, onesto, buono, contrario ai cibi “fatti a forza” (ovvero, nutriti con elementi di sintesi chimica). Gli piaceva mangiare i prodotti della terra coltivati da lui, chissà che soddisfazione ad ogni assaggio di peperoni, pomodori, cetrioli, patate, ecc ecc.
Allora, che ero più sciocca di ora, non capivo che senso avesse ammazzarsi di lavoro quando gli stessi prodotti si potevano comprare con zero fatica. Ma era proprio sfidare i parassiti, azzeccare i giorni di pioggia o di secca con metodi naturali e antichi proverbi, a dare sapore di buono alle cose e alla vita.
Anna Simone