Quale problema risolve “Moby Dick”? Nessuno.
Si chiude lasciando in chi legge più domande di prima, e questo non è certo un problema. Anzi, spesso un autore deve porre le giuste domande, a un pubblico impegnato a seguire quelle sbagliate, così come sono errate le risposte e le soluzioni.
Sono quasi certo che nel giro di qualche tempo balzerà fuori qualcuno che ne chiederà il bando perché lì si cacciano le balene, e i cuoricini potrebbero sentirsene turbati.
Ha ragione Cechov quando afferma che chi scrive per offrire risposte, lo fa perché non ha alcuna consapevolezza delle domande, vale a dire dei problemi. Per prima cosa dei problemi che pone la scrittura.
Oppure se per caso ha questa consapevolezza, ne ricava una visione semplificata. E per costui o costei, la narrativa è solo un veicolo che dovrebbe condurlo al successo.
Quello che pochi comprendono è che ogni storia ha i suoi problemi, e questi sono già complessi e di non facile risoluzione. Un dialogo, una scena, sono trappoloni cosmici nei quali si cade a capofitto, e per uscirne con qualcosa di decente occorre sputare sangue.
Tutto questo si dissolve se scrivo per fornire le risposte. Il mondo adora avere risposte già pronte perché pensate da altri, così come va in brodo di giuggiole per gli ascensori, le diete che fanno perdere peso senza fatica, e le scale mobili. Illudono di ottenere tutto senza pagare alcun prezzo.
Come recita un vecchio adagio del marketing: se è gratis, tu sei la merce.
C’è un altro punto importante del quale parla Cechov: la consapevolezza dell’autore. Questi deve impostare le questioni nel modo migliore, per questo motivo abbiamo i classici. Che non sono tali perché vecchi e sopravvissuti a guerre e cataclismi, ma perché le questioni che trattano, ricevono la giusta luce. La prosa è quella adatta, non solo perché non ci sono errori grammaticali, ma perché ogni parola riesce a essere efficace.
Esatto! Ancora una volta ribadisco il concetto che chi scrive deve occuparsi solo di scrivere. Lo so, non è corretto, non è carino, ma d’altra parte un autore con un briciolo di buonsenso e ambizione ha già capito che non può esserlo. Dovrebbe essere come uno squalo che compare al largo di Rimini il 3 luglio: questo sì che è davvero carino. L’essere uno squalo gli permetterà di divorare quanti pensano che:
Scviveve è uno schevzo, non ci vuole niente, pevciò lo scvittove deve fave qualcosa di più pev gli altvi. Impegnavsi, pevbacco.
Ciascuno faccia quello che vuole. L’impegno è una faccenda seria, ma scrivere lo è altrettanto, anzi di più. Perché la buona narrativa ricorda che i piedi caldi e la pancia piena non bastano, e se anche si arriverà a realizzare una simile società, la fame di bellezza, di arte, divorerà sempre il cuore delle persone.