[Editoriale al numero 1, vol. 2]
A distanza di circa un lustro dall’esplosione della crisi economico-finanziaria e nonostante le numerose analisi prodotte, gli studi ad essa dedicati e i suggerimenti proposti, le leadership dei paesi coinvolti ancora non sono riusciti a trovare e a mettere in campo soluzioni soddisfacenti, né per un suo contenimento, né per un suo superamento. Giacché la particolarità di questa crisi epocale – che mette a nudo le contraddizioni del sistema neoliberista – è da ricercarsi anche nella sua relazione con il cambio geopolitico globale in atto, lo stallo in cui si dibattono i decisori politici, economici e finanziari costituisce una particolare espressione della tensione che sussiste tra i sostenitori del vecchio assetto unipolare e le spinte verso l’evoluzione multipolarista dello scenario internazionale.
Dalla globalizzazione dei mercati alla globalizzazione della crisi
In seguito al terremoto geopolitico generatosi con il collasso dell’URSS, il processo di finanziarizzazione1 dell’economia mondiale ha registrato una notevole accelerazione, divenendo nell’arco di pochi anni un elemento strutturale della globalizzazione dei mercati. In termini geoeconomici, tale nuovo fenomeno ha accompagnato il tentativo di affermazione mondiale del sistema occidentale a guida statunitense2. In particolare, esso ha caratterizzato profondamente il cosiddetto “momento unipolare”3.
Dopo un iniziale successo, del quale hanno beneficiato le economie e i circoli finanziari (banche, istituti di credito e di assicurazioni) dei paesi ad industrializzazione avanzata, significativamente caratterizzati da un alto e diffuso sviluppo del settore dei servizi, la globalizzazione dei mercati e l’interrelata finanziarizzazione dell’economia hanno subito tra il 2007 e il 2008 una profonda crisi, con effetti devastanti per alcune aree del globo. Tale crisi ha messo a nudo le profonde contraddizioni del neoliberismo, già denunciate da molti autori, tra cui il geoeconomista e geostratega Luttwak4 ed il controverso uomo d’affari e finanziere statunitense George Soros5.
La crisi, compiutamente manifestatasi nei suoi tratti più perniciosi e caratteristici negli USA, vale a dire nel centro del sistema geopolitico occidentale, si è in seguito irraggiata nelle sue aree periferiche (Europa e Giappone), per poi estendersi nel resto del pianeta.
Come noto, la crisi ha colpito con virulenza alcuni Paesi dell’Europa meridionale, che presentavano già specifiche debolezze strutturali, sia in ambito politico sia in ambito economico. La scarsa, se non nulla capacità di reazione all’esiziale contagio statunitense offerta da questi Paesi (Grecia, Italia, Portogallo, Spagna) è da individuarsi non soltanto nelle loro debolezze sistemiche, ma anche nella loro diminuita possibilità di intervento in campo monetario e finanziario; quest’ultimo fattore limitativo è una conseguenza diretta del loro deficit di sovranità monetaria, originato, come noto, dall’adesione all’eurozona e dal ridotto potere negoziale in ambito europeo ed euroatlantico.
La dissipazione della crisi e i nuovi aggregati geopolitici
A distanza di circa cinque anni dalla sua esplosione, e dall’inizio della sua “dissipazione” per propagazione in altri contesti geoeconomici, la crisi non è ancora terminata. Molto verosimilmente il processo di globalizzazione della crisi sembra destinato a rimanere incompleto e, pertanto, confinato principalmente nell’alveo del sistema geopolitico occidentale, ciò a causa delle dinamiche introdotte dalla presenza dei nuovi protagonisti apparsi sulla scena mondiale.
Nel corso di questo breve arco temporale, infatti, quei paesi, considerati fino a poco tempo fa emergenti, come il Brasile, la Russa, l’India, la Cina e il Sudafrica (BRICS), hanno acquisito una importanza vieppiù mondiale, polarizzando l’interesse economico, finanziario e politico di altre nazioni in vari quadranti del Pianeta. L’aggregato BRICS, inoltre, ha, in un certo qual modo, se non proprio instaurato su scala globale un clima favorevole alla formazione di altri nuovi raggruppamenti, quali l’Unione doganale eurasiatica e l’UNASUR, perlomeno contribuito a rendere piena consapevolezza del cambio geopolitico in essere i ceti dirigenti dei principali paesi eurasiatici (Cina, India, Kazakhstan, Russia) e latinoamericani (Brasile, Argentina, Venezuela, Cile). La diffusione della nuova mentalità “multipolarista” ha generato alcune iniziative innovative, destinate a rivestire un ruolo determinante nella configurazione del nuovo assetto mondiale, sia sul piano di inedite alleanze ed insoliti partenariati strategici (alcuni dei quali già allo stato dell’arte), sia sul terreno economico-finanziario. È in tale contesto che vanno registrate e valutate proposte ed iniziative nate al di fuori dei consueti forum (G8 o G20) o dei centri decisionali internazionali (Banca mondiale, Fondo monetario internazionale) come, ad esempio, l’istituzione di una Banca BRICS, finalizzata (per ora) al cofinanziamento di grandi opere infrastrutturali per la modernizzazione di circa un terzo dell’intero Pianeta. D’altronde, in tale stesso contesto vanno analizzati i tentativi “occidentali” volti a mantenere il primato mondiale nella particolare fase di crisi finanziaria e politica.
Tra gli sforzi del sistema occidentale, miranti a superare la crisi mediante la sua globalizzazione o dissipazione in altri quadranti geoeconomici, ve ne sono almeno due di particolare interesse per l’analista, giacché proposti o riproposti su iniziativa degli USA, cioè del centro decisionale dell’ “Occidente”, e, soprattutto perché insistenti su due aree strategiche per la proiezione economica e geopolitica di Washington. Essi riguardano l’Europa e il Pacifico. Ci riferiamo al progetto della costituzione di un grande mercato transatlantico il Transatlantic Trade and Investment Partnership- (TTIP) e al Partenariato Trans-Pacifico (Trans Pacific Partnership TPP).
L’opzione bilaterale e il “neomultilateralismo multipolare” per il superamento della crisi
Il cambio geopolitico in atto, vale a dire la transizione uni-multipolare, sembra procedere verso la stabilizzazione dei nuovi attori, sia nelle loro singole dimensioni nazionali sia nelle loro aggregazioni.
Tale consolidamento offre ai paesi periferici al sistema occidentale, che più subiscono gli effetti della crisi economica, monetaria e finanziaria, l’opportunità di avviare nuove modalità di cooperazione con i futuri protagonisti del nuovo assetto multipolare.
I Paesi periferici, tra cui l’Italia, dovrebbero privilegiare in un primo tempo l’opzione bilaterale, con lo scopo di riacquistare una “fisionomia” internazionale che permetta loro di aumentare i propri gradi di libertà nell’agone internazionale e, dunque, guadagnare un maggiore potere negoziale. Col procedere dello spostamento geopolitico verso nuovi e diversi poli di aggregazione, la modalità dell’opzione bilaterale, tuttavia, dovrà inserirsi, nell’ambito di quello che possiamo fin d’ora definire, con un sintagma inedito, come il “neomultilateralismo multipolare”.