La grammatica cinematografica/2

Creato il 17 dicembre 2014 da Kymaera Edizioni

Parlando di cinema abbiamo spesso sottolineato il ruolo, quasi unico, dell’immagine. Dato che nel precedente focus a proposito della grammatica cinematografica abbiamo visto sommariamente la diversa tipologia delle inquadrature (la cui classificazione, molto semplicemente, dipende dalla vicinanza/lontananza dall’oggetto inquadrato), ora risulta utile approfondire un’altra componente irrinunciabile al fine di una visione globale del discorso: il POV o Punto di Vista.

Innanzi tutto la prima distinzione che dobbiamo operare è tra la visione “fisiologica” detta oggettiva e quella “psicologica” detta soggettiva. Le inquadrature oggettive lasciano coincidere lo sguardo dello spettatore con l’obiettivo della cinepresa, con una conseguente interpretazione dei fatti perlopiù oggettiva e distaccata, differentemente da quanto avviene nell’inquadratura soggettiva, dove il POV dello spettatore è in linea con lo sguardo di uno dei personaggi del film, sviluppando la conseguente immedesimazione con il soggetto.

Facendo un passo in avanti, passiamo ora dall’immagine statica all’immagine in movimento, perché questo altro non è che cinema! Certo, le inquadrature possono essere statiche (macchina fissa, plongée, c. plongée, vert. Alto, vert. Basso, fuori bolla), lasciando al soggetto il compito di compiere una qualsiasi azione, ma nella maggior parte dei casi è la stessa macchina da presa ad essere in moto: i movimenti hanno perciò lo scopo di rendere esteticamente piacevole la visione di un film ma in primis detengono la capacità di dare origine a numerose funzioni espressive non trasmissibili parimenti.

Anche qui ci troviamo a dover usare un giusto lessico per poter meglio comprendere e farci capire quando desideriamo affrontare un discorso in modo preparato e serio, soprattutto perché i movimenti di macchina (insieme alla direzione della camera e dell’angolazione di ripresa) si basano su un codice specifico al quale è necessario fare sempre riferimento.

Panoramica
Si ottiene una panoramica quando la MdP (macchina da presa) ruota intorno al proprio asse e generalmente viene utilizzata allo scopo di seguire il soggetto/oggetto che altrimenti rischierebbe di uscire dal campo visivo, inoltre può muoversi in maniera verticale, orizzontale e obliqua. Può avere una funzione descrittiva dell’ambiente oppure narrativa ed essere “a schiaffo”, ossia talmente veloce da impedire la percezione delle immagini intermedie alla partenza e all’arrivo, creando un effetto sorpresa.

Carrellata
Nella carrellata è tutta la MdP a muoversi, infatti viene montata in un apposito Carrello (da qui ovviamente il termine Carrellata) che può essere su ruote gommate o su binari, a volte anche fissata su di un’automobile (camera-car). La carrellata può essere arricchita con altri movimenti di macchina: carrello in avanti (la MdP si avvicina sempre più al soggetto escludendo progressivamente gli elementi ai lati del campo), carrello indietro (la MdP si allontana dal soggetto includendo via via nuovi elementi), carrello a precedere, seguire, accompagnare, che si usano quando gli stessi soggetti sono in movimento, carrello trasversale (la Mdp si muove trasversalmente o lateralmente al proprio asse).

Gru e dolly
Qui la MdP è montata all’estremità di un braccio mobile ed estensibile che può alzarsi, abbassarsi e ruotare di 360°, sostenuto da una piattaforma con o senza ruote, la quale prevede anche un apposito sedile per l’operatore della ripresa. La differenza tra Gru e dolly è il limite dell’altezza: se un dolly può arrivare a 4 m, la Gru raggiunge anche i 15 m di altezza.

Steady-cam
Importante, specie se pensiamo ai film degli ultimi decenni, è il ruolo della macchina a mano o a spalla e steady-cam, dove non viene utilizzato alcuno strumento artificiale, il cui movimento è affidato solo al movimento stesso dell’operatore. Le immagini che ne derivano risultano essere così rudimentali, concrete, in quanto ricalcano le modalità di movimento tipiche dell’essere umano, trasmettendo un effetto puramente realistico (non a caso conobbero fortuna con il Cinéma Vérité).

Il cinema, così, attraverso il POV e i movimenti di macchina, può trovare un’altra sua specificità che va a costruire il significato dell’opera stessa. Con questi codici espressivi è possibile infatti alterare, dissimulare, diversificare, sminuire o addirittura arricchire a dismisura. Non sono, così, sempre fondamentali la trama o la vicenda: come semplici spettatori siamo portati ad osservare ciò che accade nello schermo ma non come, ma è quest’ultimo passaggio a permettere di rendere intensa e vera (vera proprio perché richiama la nostra immaginazione e la nostra immedesimazione) l’azione.

Valentina Maniezzo


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