Sorrentino in odore di Palma
La grande bellezza sfoggia una Roma indolente, indifferente, stra-cafona e bellissima. Il “cicerone” è il giornalista e scrittore Jep Gambardella. Sorrentino scrive e dirige. Ed è una sicurezza.
Jep Gambardella è il “divo” dei mondani. La mondanità è il suo pane e la sua vita. Vuota e inutile. Tra party innaffiati d’alcool e amicizie (o presunte tali) altolocate, Jep si racconta e ci racconta la sua esistenza. Il suo microcosmo romano. E Roma è sullo sfondo. Stupenda e muta.
Unico film italiano in concorso a Cannes 66, l’ultima opera di Sorrentino abbaglia. Una pellicola esteticamente perfetta, che affianca istantanee (senza soluzione di continuità) di una società radical chic, supponente e ricca. Sorrentino passa attraverso guru del botulino, artisti che fanno performance autodistruttive, spogliarelliste agé, fragili e naif, uomini di spettacolo falliti, buffi e ambiziosi e una missionaria in odore di santità che ha sposato la povertà. Ma da dove passano tutti questi personaggi? Sulla terrazza di Jep Gambardella, dandy cinico e ironico, colto e misogino, scrittore mancato e giornalista di successo, che osserva la macchina da presa con quel suo sguardo straniante e fragile mentre si aggira passeggiando nella bellezza di una Roma addormentata, ma che non ha ancora trovato la vera grande bellezza. È lui Virgilio, il re dei mondani, colui che guida per mano lo spettatore tra le vie della città eterna e viene accompagnato dalla macchina da presa di un Sorrentino che la immortala con sguardo non turistico, ma appassionato. Una visione trasversale e mai banale del centro storico, delle ville romane, dei monumenti immortali, nei quali sono immersi in alcool e distratto divertimento i veri protagonisti della pellicola: politici, imprenditori, ricchi dalla nascita, criminali, alti prelati, soubrette, nobili decaduti, intellettuali veri o presunti. Tutti questi personaggi ruotano intorno a una città, che li accoglie, ma non li celebra. Non esiste più la “dolce vita” felliniana. Ora c’è la “vita cafona” di Sorrentino. Filtrata dai bicchieri di cristallo dei party, nei quali partecipa l’alta società che non sa prendersi in giro, ma nemmeno sopportare la verità. Quella società che non può percorrere la via della redenzione, perché colpevole, grottesca nella sua ricerca del futile divertimento. Ed è proprio questo che fa Sorrentino; mostrarla stravagante e ridicola: uomini da poco e donne di plastica. La grande bellezza passa attraverso citazioni letterarie (Louis Ferdinand Celine, Viaggio al termine della notte), canti gregoriani (che gli donano un aspetto straniante), sonorità dance (nelle quali la Carrà è l’indiscussa padrona di casa), una fotografia barocca e onirica (Bigazzi docet) e battute di Jep Gambardella (interpretato dal feticcio sorrentiniano Toni Servillo), momenti di auto-confessione, nei quali guardando nel passato e nel presente si interroga sulla sua esistenza e su quello che gli ruota intorno. “È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio, il sentimento, l’emozione e la paura, gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza e poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile”. Questa è forse la battuta cardine di La grande bellezza. Chiude il film e ne esplicita la tesi.
Film summa, La grande bellezza segue una struttura riconoscibile, nella quale una creatura disperata, (un antieroe sgraziato e dal nome stravagante), un altro ex della carriera cinematografica del regista napoletano (ex-scrittore), si pone di fronte alla macchina da presa e si interroga, e in questo caso diviene strumento da declinare e usare per analizzare il contesto in cui è inserito. Applaudito e apprezzato a Cannes La grande bellezza dimostra (se ce n’era bisogno) la bravura dell’autore Sorrentino, un regista dallo stile rigoroso e geometrico, suggestivo e accattivante. Un cineasta eccentrico nella costruzione narrativa ed estremamente simbolico, qualità che gli permettono di ergersi a autore riconosciuto e celebrato. Cannes lo confermerà?
Uscita al cinema: 21 maggio 2013
Voto: ****1/2