di Francesco Gori
I film di Paolo Sorrentino lasciano sempre il segno. Basti pensare a Il divo, a Le conseguenze dell’amore, a This Must be the Place, e adesso La grande bellezza. Opere mai banali, pellicole che scavano nell’interiorità dei personaggi, ben lontane da indigesti effetti speciali, quanto vicine al quotidiano di ognuno.
Il personaggio principe de La grande bellezza è Jep Gambardella, giornalista-scrittore interpretato dal sontuoso Toni Servillo. Vive a Roma, circondato dalla bellezza della capitale, un’opera d’arte a cielo aperto, cui disporre ogni giorno grazie alle sue infinite perle: il Colosseo, palazzi, piazze e giardini di accecante eccezionalità. Ma l’universo sociale di Jep è anche la Roma bene, essendo un mondano fin dalla giovane età, e adesso, a 65 anni suonati, festeggia ancora nei locali a suon di drink, balli e incontri della durata di una notte. La lunga scena di apertura descrive al meglio questa cornice: musica da discoteca, donne bellissime che si dimenano sui cubi, uomini di mezza età alla ricerca di brividi sessuali, e Jep il festeggiato che appare con fare grottesco con la sua sigaretta in bocca, subito dopo la sorpresa della torta: una Serena Grandi devastata dal tempo, nei panni di una tardona dipendente dalla cocaina.
La grande bellezza di Sorrentino, Toni Servillo è Jep – melty-it
Della sua compagnia fanno parte la crème de la crème, o quantomeno personaggi che si affannano per farne parte: Romano (Carlo Verdone), autore in cerca di successo teatrale, Lello (Carlo Buccirosso), venditore di giocattoli col chiodo fisso, la boss-nana del giornale per il quale scrive interviste che sta con un poeta muto, Viola con un figlio psichiatrico, Stefania che millanta i suoi successi letterari, Ramona (Sabrina Ferilli), figlia di un amico, che a 42 anni ancora fa la spogliarellista. Un mondo dove sotto la patina sciccosa si cela tutta la disperazione de “L’apparato umano” (il titolo dell’unico romanzo di Jep).
L’uomo interpretato da Toni aveva scritto il testo 40 anni prima, quando il suo sguardo era ancora acceso, nutrito dall’amore adolescenziale per Elisa, la prima ragazza mai dimenticata, che la sua mente rievoca a più riprese nei lunghi 142 minuti, e ancor più in occasione della notizia della sua morte. Adesso quello sguardo è spento, malinconico. Solo a tratti, e solo di fronte a “squarci di bellezza”, si riaccende. Ma la sua vita è ormai quella di un viveur, che lui stesso definisce “niente”.
Flaubert voleva scrivere un romanzo sul niente (e poi lo ha fatto, L’educazione sentimentale), dice Jep. E Sorrentino dirige un film che è “narrazione del niente”: non c’è una vera e propria trama (come già in This Must Be the Place) – scelta perfetta per raccontare il nulla di vite che bivaccano da una festa all’altra -, ma una lente di ingrandimento costante sul personaggio di riferimento, che racconta con occhi e voce un mondo squallido, che è il suo mondo. Nel quale è intrappolato.
In La grande bellezza c’è tutta la rappresentazione del teatro della vita: nel cast di attori italiani ben noti al grande pubblico – Sabrina Ferilli (sorprendente la sua interpretazione), Isabella Ferrari, Giorgio Pasotti - ognuno recita la propria parte nonostante l’evidenza della realtà, cardinali compresi, cui interessa più la cucina della spiritualità.
Gambardella è un Bukowski con maggior signorilità, distrutto dentro come il Titta di Le conseguenze dell’amore, eppure ultimo baluardo di un’umanità assente: annichilisce il buio con l’ironia intelligente, e in fondo la sua è un’autodistruzione “buona”, come dimostra nei rapporti che intrattiene con la governante, nei pasti con la nana, nell’ascolto del marito di Elisa, in quello delle difficoltà di Ramona. Perché è delle difficoltà del vivere che si parla, con echi felliniani.
Un film lungo come le feste che si protraggono fino all’alba ogni giorno, dove i trenini in realtà “non portano da nessuna parte”. Il messaggio del regista, invece, arriva eccome, e ne conferma lo spessore artistico.
Cercava la grande bellezza Jep, ma non l’ha più trovata, accettando la miseria dell’essere umano, e cedendo alla disperazione. Un film di qualità assoluta, che narra la verità delle contraddizioni dell’uomo, che dispensa pessimismo, ma che lascia uno spiraglio proprio nel finale quando, dopo tanto pensare, Jep decide di tornare a scrivere.
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