“La Grande Bellezza di Sorrentino: elogio dell’eccesso” by Cinema in Controluce

Da Parolesemplici

La Grande Bellezza, lo si capisce già dal titolo, è uno di quei film magniloquenti, grandi, ambiziosi, esagerati, sfrontati, senza mezze misure, che non si preoccupa di riproporre il sapore già provato de La Dolce Vita e di Roma di Fellini, non si cura di esagerare in spettacolarità e in melanconia, ma procede sulla sua strada, noncurante delle possibili critiche che un’operazione del genere – che non si autoproclama progressista e ottimista, tutt’altro – comporterà quasi sicuro in un certo pubblico e in una certa stampa. Già solo per questo coraggio oggi noto a pochi, La Grande Bellezza andrebbe apprezzato:il suo è un voler essere a tutti i costi “cinema”, a tutti i costi spettacolo, esageratamente spettacolo, come già il grottesco incipit della sindrome di Stendhal professa.Del resto, chiunque abbia vissuto nella città eterna e l’abbia respirata nei suoi mille volti non può che condividere questa sensazione, a tratti un po’ decadente, sicuramente saturante, di una bellezza che va per accumulo su accumulo, una bellezza dove gli strati temporali si sovrappongono e si accostano gli uni agli altri e sopra i quali, a sua volta, scorre indifferente la vita frenetica di tutti i giorni, oltre che lo sfavillìo della vita mondana ovviamente, dominante i piani alti.

Ecco, La Grande Bellezza di Sorrentino è tutto questo: è come una mappa, ovviamente non esaustiva, di una Roma vista da queste terrazze dalle quali è possibile cogliere nello stesso istante una panoramica che toglie il respiro per quanto è bella ma che al tempo stesso coglie anche il respiro perché la convivenza di rovine e modernità è un segno ineluttabile del tempo e quindi della morte e della decadenza delle cose.

A Sorrentino, però, non basta nemmeno questo, vuole giustamente strafare e vista la nostra cultura prettamente religiosa, coinvolge anche, soprattutto nella seconda parte del film, un forte senso del sacro, contrapposto al profano dei party, che è suggerito dal bianco perlaceo dei marmi di Carrara della Roma Barocca e delle statue e dell’arte che la popola e che la caratterizza più di ogni altra cosa.

Lo stesso film è definibile come un cinema barocco, l’opposto assoluto del minimalismo e realismo di un Kechiche per fare un esempio: qui sono benvenuti, se non obbligatori, i grandi movimenti di macchina, i dolly, le frasi ad effetto, i voice over, perché c’è il sentore, se non peso, di un grande passato alle spalle, che per essere ricordato, commemorato, immortalato necessita di uno stile registico adatto, un po’ vistoso, come quello di Sorrentino appunto, che qui è più calzante che mai.

Si tratta, certamente, di un film imperfetto, non privo di difetti anche perché parecchio tagliato in fase di montaggio: per giudicarlo a pieno, o anche per curiosità, sarebbe davvero interessante poter vedere le scene tagliate: alcune si possono già intravedere in qualche libro fotografico. In ogni caso, nonostante i difetti e nonostante un certo manicheismo (sacro/profano, puro/impuro, etc), che non condivido ma che è tipico della nostra cultura, La Grande Bellezza è un film che ha una sua completezza, un senso compiuto, oltre che la prova assoluta che non c’è bisogno di darci sempre addosso riguardo l’incapacità di noi italiani e che qualcosa di bello e che piace a noi e al mondo siamo perfettamente, anzi in modo orgogliosamente imperfetto ed esagerato, in grado di farlo.

Cinema in Controluce


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