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La grande bellezza, Roma e la nuvoletta di Fantozzi

Creato il 06 giugno 2013 da Verdeacqua @verde_acqua
Lo scorso week end siamo stati al cinema. Io adoro il cinema. Adoro andarci, adoro sedermi in quelle poltrone spesso scomode perchè i film migliori passano più facilmente nelle vecchie sale, adoro quando arriva il buio, adoro guardare i trailer e promettermi che andrò a vedere tutto, per poi puntualmente non farlo mai.
Abbiamo visto La Grande Bellezza e mi è piaciuto. Realismo e surrealismo insieme allo stato puro. Volutamente lento e con un Servillo come sempre impeccabile.
C'è tanta Roma e quindi non poteva non piacermi.
Roma è stata la mia città per quasi due anni. In realtà non l'ho mai sentita mia. Ma me la sono goduta. E' stato il periodo più libero della mia vita.
Da Roma ho preso tantissimo e dato forse molto meno. Ho tenuto gli occhi spalancati sempre e ho semplicemente vissuto, alla giornata. Come non ero mai riuscita a fare. Come non sono più riuscita a fare. Non ho instaurato rapporti duraturi, non li ho cercati e non ne sono rimasti.
Ho amato Lei, la mia vita in piena solitudine, senza più case di studenti, ma fatta di mansardina sui tetti, minuscola. Ho amato il divertimento, preso così come veniva, senza pianificazione mai. Ho amato le mie passeggiate infinite, il lungotevere all'alba al ritorno dalle feste, Castel Sant'Angelo in lontananza, le viuzze intorno al Colosseo, le stradine di Trastevere, in assoluto le mie preferite, Testaccio dove avrei voluto vivere, il Pantheon quelle rare volte quando lo trovavi vuoto.
Ho amato i lunghi tragitti quotidiani in autobus per andare in quella casa editrice dove facevo uno stage, io e le mie cuffiette, nessuno smartphone a distrarre e giusto un libro, che però spesso rimaneva chiuso, perchè io guardavo intorno. Ecco, a Roma, non ho mai camminato a testa bassa. Cosa che qui dove tutto è troppo familiare e scontato mi capita molto spesso.
Roma e le sue mostre. Roma e i suoi concerti. Roma e i suoi teatri. Roma e i suoi cinema. Tutte cose che facevo anche da sola. Era Roma e io stavo bene con me stessa. Potevo fare tutto solo io e Lei e non sentivo nessuna mancanza...
Ho anche intravisto la Roma becera di cui La Grande Bellezza racconta. I festini privati e le discoteche piene di gente triste e decadente che cerca di divertirsi. Gente malinconica che dimostra come i soldi non facciano la soddisfazione.
Dopo due anni, come nelle migliori relazioni passionali tra amanti, la cosa si è sgonfiata. Avevo preso tutto il prendibile. Rimaneva il traffico, la confusione, le amicizie non coltivate, e il nuovo amore altrove. E quindi me ne sono andata. Sono tornata.
la differenza sta nell’essersene accorti o meno: …è tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura. gli sparuti e incostanti sprazzi di bellezza, e poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Quel posto si chiama vita.
(La Grande Bellezza)
Comunque ho pianto, praticamente per tutto il film.
Non è un film da lacrima facile in teoria. Ma per me lo è stato. Non so perchè.
Sarà stato quel senso di malinconia, di nostalgia, di impotenza di cui si è la causa principale, dato dall'insoddisfazione che piano piano si sedimenta nel dovere di tutti i giorni...
Sarà stato semplicemente l'effetto della grande sala e dei volumi che ti penetrano, così lontani dal "rumore" quotidiano. Perchè io ho sempre ascoltato la musica a tutto volume. Ma è una di quelle cose che puoi fare quando sei sola e che con un figlio abbandoni, dimentichi. Non è più un'abitudine.
Quel volume che trapassa, inonda, assorbe. Quel volume che riesce a dare ritmo all'umore. Quel volume che non puoi disturbare.
Oppure sarà semplicemente perchè questo benedetto duemilacredici fino ad ora è stato una bella fregatura. Perchè io mi impegno per essere sempre felice, per vedere le cose belle ma ho la nuvoletta di Fantozzi che mi insegue e mi cerca, anche se provo a nascondermi.
Perchè tra pma andata male, tra problemi con la casa (a gennaio saremo dei senzatetto), tra il lavoro, ci mancava solo che mi spaccassero il finestrino fuori dalla scuola di mio figlio per portarmi via la mia borsa preferita. Con TUTTO dentro.
Dentro c'era la cosa più mia. Il mio quaderno.
Valeva più dei soldi appena prelevati.
Valeva più della carta d'identità con quella foto dove ero bellissima e molto giovane.
Valeva più del telefono, anche se il non essere più sempre connessa è faticoso (tanto quanto liberatorio).
Valeva più dell'agenda con dentro la mia vita lavorativa.
Valeva più dei miei orecchini preferiti che non so come mai fossero in borsa proprio quel giorno.
Valeva più della macchina foto che per fortuna non era Lei, ma l'altra. Ma era comunque. Aveva immortalato al mattino il nano che non si è mosso di un millimetro alla recita scolastica.
Valeva più del primo documento fatto a mio figlio.
Valeva più del nuovo rossetto mai usato.
Valeva più di quel buono per massaggi non nominale che non vedevo l'ora di fare.
Dopo due giorni di arrabbiatura mi ci voleva una sala buia, un film amaro, il volume e Roma sullo sfondo per piangere lui. Il mio quaderno.
Quello ero io.
Appunti. Confusione. Asterischi. Schemi. Sogni.
Io scrivo ancora sempre a mano. Carta e penna. Mi piace così.
Nessun back up possibile. Nessun salvataggio.
Era tutto lì.
Certe parole sono state, passate, non torneranno più. Rimangono i concetti, ma loro sono come cancellate. Da riscrivere. Da ripensare. Da rivivere.
Da ridare un nome alle cose.
E non tutte potranno essere ancora.
Molte me le hanno semplicemente tolte.

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