La Grande Bellezza: un FAQ in dieci punti, per parlare del nulla con metodo.

Creato il 19 marzo 2014 da Idispacci @IDispacci

L'argomento cinematografico del decennio è "La Grande Bellezza", di Paolo Sorrentino, un film che ha vinto, tra i vari, il premio Oscar come miglior film straniero e di cui ognuno dice la sua. Tanto tutto troppo si è detto, ma forse non è ancora abbastanza.
Trattandosi però di un film di cui ciascuno ha una già consolidata opinione personale, mi sembra inutile scriverne una recensione quanto invece sarebbe più costruttivo un botta e risposta in dieci punti, un bel FAQ, cioè " le frequentemente affrontate questioni" (o "frequently asked questions", per chi è anglofono convinto). Bando alla ciance quindi e iniziamo subito, così finiamo presto e non viene troppo tardi

0. La trama, per quei pochi che ancora non la conoscono.

Jep Gambardella (Toni Servillo) si considera il "re dei mondani". È un giornalista di costume di sessantacinque anni che vive a Roma, bazzica feste e passa la vita tra una vacuità e l'altra. Da giovane scrisse un libro, "L'apparato umano", a proposito del quale è molto critico e (finto) modesto, tanto da decidere di non scrivere mai più. Tutto vero fino a quando non viene a sapere della morte del suo primo (e forse unico) grande amore. I ricordi di lei lo riportano a un mondo lontano, quando sembrava essere ancora in grado di essere felice. Il vortice di sterile mondanità adesso gli pare arido: Jep inizia allora un percorso di riscoperta di se stesso, mettendo in dubbio la sua vita e solleticando l'idea di tornare a scrivere.

1. Cosa è la "Grande Bellezza" del titolo?

Questioni come queste possono essere risolte soltanto da Paolo Sorrentino in persona, ma si sa che gli arti sti odiano (a ragione) dover spiegare le proprie opere. Si è detto che fosse Roma, vera coprotagonista del film, ma questa risposta è, tra quelle più probabili, la più probabilmente sbagliata: Roma è una grande bellezza, forse persino la grande bellezza, ma non quella del titolo. A detta della sceneggiatura (quindi, indirettamente, di Sorrentino) la grande bellezza è ciò che Jep stava cercando per tornare a scrivere (e di cui voleva proprio, probabilmente, scrivere): purtroppo non l'ha trovata, non a Roma e non nelle donne, non nelle feste né nella felicità un un tot al chilo. Personalmente credo che la Grande Bellezza siano "gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza [...], tutto sepolto dalla coperta dell'imbarazzo dello stare al mondo". La grande bellezza del titolo è la bellezza insita nel mondo, gli attimi poetici, gli scorci, lo splendore di ciò che ci circonda, troppo vivida perché non ci costringa almeno a tentare di catturarla e mostrarla agli altri come noi la vediamo, sia la sua rappresentazione un racconto, un dipinto o un film.

2. Ma Sorrentino non poteva anzi girare Gomorra 2?

No. Facciamo chiarezza.
Al fortunatissimo per l'Italia festival di Cannes del 2008 vennero presentati due grandi film: "Gomorra", di Matteo Garrone, e "Il Divo", di Paolo Sorrentino. Vinsero l'uno il gran premio della giuria (praticamente la medaglia d'argento), l'altro il premio della giuria (praticamente la medaglia di bronzo o quasi), mentre lasciarono entrambi il primo posto a "La Classe". Da quel giorno in poi si declamò la rinascita del cinema italiano e i due registi portatori del miracolo sono stati costantemente confusi l'uno con l'altro e, con essi, i loro film.
Matteo Garrone, classe 1968, è un regista nato a Roma, sorridente e buffo che ha rischiato di fare il maestro di tennis: ha iniziato con dei documentari e, infatti, il suo stile di regia è asciutto, senza fronzoli, dove gli attori parlano in dialetto (come farebbero se la loro storia fosse la vita vera e non un film) e tende a riprendere la realtà senza filtri.
Paolo Sorrentino (nella foto) nasce nel 1970 e oltre ad essere regista è pure uno scrittore. Il suo stile è condizionato da questo spirito narrativo nelle sceneggiatura, dove predilige frasi rare ma a effetto, parole scelte e precise declinate in un linguaggio letterario, e si serve di uno stile di regia fatto di lunghi carrelli, telecamera che aleggia in modo lento e sinuoso, uno modo di girare plastico, quasi scultoreo, con movimenti di macchina innaturali, virtuosistici e inquadrature studiate nel minimo dettaglio. Cioè due autori agli antipodi.

3. Non gli bastava aver vinto il Globo d'argento al miglior film romano?

No. Facciamo chiarezza.
La Grande Bellezza inizia il suo iter al festival di Cannes del 2013. Quell'anno vince a mani basse "La vita di Adéle" e "La Grande Bellezza" esce invece a mani completamente vuote da una competizione che prevede, ricordiamolo, ben sette categorie e in cui un film non può vincere in più di una di esse. In pratica più di un film su tre porta a casa un premio. E invece niente.
Con la presentazione uscirono anche le prime recensioni: la critica Italiana si spezzò in due, con la maggior parte dei giornalisti che propendevano per un giudizio globalmente negativo e una schiera di sostenitori sparuta ma agguerrita (Gianni Canova lo considera uno dei più grandi film di sempre); agli europei è piaciuto mentre per gli americani è stato amore a prima vista.
Partito zoppo alla corsa ai riconoscimenti, "La Grande Bellezza" ha invece poi recuperato al giro di boa vincendo l'European Film Award, il Golden Globe come miglior film straniero (premio assegnato dalla stampa estera in America), il BAFTA al miglior film straniero (il massimo riconoscimento cinematografico dato dalla critica britannica e sette anni di guai a chi dice "gli Oscar inglesi") e, infine, l'Oscar come miglior film straniero.

4. Va be', ma l'Oscar non vale niente. Non lo hanno dato manco a Kubrick.

No. A Kubrick lo hanno dato: non per la regia, ma per i migliori effetti visivi di "2001: Odissea nello Spazio", che è un po' come premiare Leonardo da Vinci per aver concepito la prima tuta da palombaro invece che per aver dipinto la Vergine delle Rocce. Tornando a noi, è vero che il premio Oscar è molto discutibile su moltissimi aspetti, soprattutto il giudizio critico, ma è comunque vero che un riconoscimento così oggettivamente importante non può che fare bene al cinema italiano, incoraggiando sia i registi a essere ambiziosi che i produttori e credere in questa ambizione.

5. Ha copiato Fellini/è felliniano/ha superato Fellini.

No/no/ma neanche per sogno! Il riferimento a Fellini è rivolto specialmente a "La Dolce Vita". E qui è sufficiente fare una riflessione: se Fellini non avesse mai diretto "La Dolce Vita" (sarebbe un mondo peggiore e) il paragone non sussisterebbe, perché "La Grande Bellezza" assomiglia molto poco a, per dirne uno, "8 e ½". Felliniani sono, per definizione ontologica del termine, tutti i film di Fellini, alcuni più di altri, ma è evidente che lo debbano essere tutti. Non uno solo. Non solo "La Dolce Vita". Quindi "La Grande Bellezza" è, al limite, dolcevitiano.

6. "La Grande Bellezza" è troppo dolcevitiano.

Questione controversa e dibattuta. Personalmente credo di no. Pur sembrando apparentemente simili, i film si sviluppano in modo completamente diverso giungendo a conclusioni e ammonimenti completamente diversi, o quasi. Se non avete visto "La Dolce Vita" (male!), tratta di un giornalista della periferia giunto a Roma e lasciatosi assorbire dal turbinio della mondanità, di cui diventa prima fruitore e poi, lentamente, vittima inconsapevole. E fin qui i punti di contatto ci sono davvero.
Al di là della tecnica di regia francamente non paragonabile, "La Dolce Vita" (girato nel 1960 e che a Cannes vinse) è strutturato come una denuncia e un monito verso una società che si stava lasciando trascinare in una consolante ma pericolosa vacuità: dopo una prima parte episodica, in cui sono presentate in modo grottesco le varie degenerazioni dei sommi miti degli uomini (dal cinema alla religione), il film termina mostrando come la frivolezza e un costante allontanamento catartico dai valori del senso comune prima diano piacere facendoci dimenticare ciò che temiamo, poi creino dipendenza, come una droga, e infine ci trasformino in mostri.
"La Grande Bellezza" mostra come l'avvertimento non sia stato recepito e la degenerazione crescente denunciata da Fellini sia diventata realtà; non solo però il personaggio di Jep ci vive, ma ne è re e padrone, acquisendo da essa la sua forza e notorietà e riuscendo, apparentemente, a dominare il vuoto e trarne persino vantaggio. Se il film di Fellini profetizzava una modernità, quello di Sorrentino non è solo moderno, ma post-moderno.
La differenza fondamentale tra i due film è però un'altra: "La Dolce Vita" si chiude con una immagine sul futuro, cioè con un sentimento di speranza; "La Grande Bellezza" invece si chiude col passato, col ritorno alle origini: non c'è speranza nel domani a meno che non lo facciamo tornare un po' più simile a ieri. In questo senso Fellini è progressista e Sorrentino è conservatore. Sta proprio qui probabilmente la grandezza de "La Dolce Vita" rispetto a "La Grande Bellezza", l'ambizione di prevedere, dare delle indicazioni, suggerire una strada ed essere incoraggiante, al contrario invece di una mentalità (forse depressa dal degrado) che pensa che non sia altro da fare che guardare indietro con tanta malinconia incrociando le dita. L'una invita alle armi, l'altra a una placida resa.

7. Ma è vero che pure la Ferilli è brava?

Sì. La riuscita di un personaggio dipende infatti dalle capacità dell'attore che lo interpreta, da come è stato scritto il ruolo e da come l'attore è stato diretto dal regista. Detto questo, la Ferilli di base ha delle buone capacità, il personaggio per lei scritto è molto bello e lei è stata ben diretta da Sorrentino.
Se a recitare Ramona (il personaggio) fosse stato un attore non bravo, a poco sarebbero serviti i dialoghi intelligenti e un bravo regista. Se invece la Ferilli è brava e Sorrentino la dirige bene, ma la battuta da dire è "beato chi se 'o fa ir sofà", il risultato non potrà comunque mai essere brillante.

8. È un film lento e noioso, troppo d'autore/è un film profondo e feroce, un ritratto non compassato ma raffinato dai filtri di un mai esasperato virtuosismo artistico del colpo apoplettico che ha colto il locus paradigmatico della cultura del bel paese, cioè Roma, e se non lo capisci è perché sei 'gnorante!

No/no. Anzi: dipende/dipende. Il film è probabilmente lento, ma non è detto che sia noioso. Qui entrano molto in gioco i gusti personali di ogni singolo spettatore, il suo modo di reagire a uno stile sicuramente ricercato e sicuramente anche troppo ricercato, a delle battute ben recitate a sicuramente anche troppo ben recitate.
C'è chi dice di non aver capito il film e a costoro consiglio solo di guardarlo con più attenzione, magari una seconda volta sapendo però già dove la storia sta andando a parare, conoscendo in anticipo gli sviluppi e i personaggi così da potersi concentrare con maggiore tranquillità sul significato delle inquadrature e delle battute.
Capire il film nei suoi più piccoli dettagli potrebbe poi farvelo amare alla follia o detestare profondamente. Riguardo questo tipo di disparità, una volta il lettore di una rivista di cinema nell'angolo della posta chiese a uno dei critici più autorevoli in Italia come fosse possibile che un film possa essere così amato e allo stesso tempo disprezzato, se non esistessero dei canoni oggettivi: il critico rispose che sì, secondo lui esistono dei canoni oggettivi e sono quelli che adotta lui per dare il proprio giudizio, personalmente insindacabile; peccato solo che altri critici abbiano altri canoni per loro oggettivi che portano, inevitabilmente, a giudizi differenti.
Via alle banalità, ma il giudizio più importante è il vostro, anche perché uno un film lo vede per divertirsi e, se non ci diverte, non ci perde Sorrentino, Hollywood, il critico illustre o il blogger annoiato, ma solo chi non si è divertito.

9. La Grande Bellezza è un capolavoro/è una schifezza.

No/no. È presto per definirlo un capolavoro e non è mai tardi per definirlo una schifezza. È presto per definirlo una schifezza e non è mai tardi per definirlo un capolavoro. Un capolavoro vive nelle quattro dimensioni, deve superare soprattutto la prova del tempo, della memoria, perciò temo sia presto per esprimere un giudizio così importante. Certo che il termine ha mutato molto il proprio significato (tendendo all'abuso), per cui è normale che, posseduti da una cieca ammirazione, la parola con la C possa accidentalmente scappare di bocca. E non c'è poi nulla di male.
Personalmente ritengo che un capolavoro (generalizzando e quindi sbagliando a priori) sconvolga e cambi qualcosa all'interno di chi lo guarda. "La Grande Bellezza" non credo lo sia perché non ha creato una nuova strada, ma ha percorso la propria, perché è un dipinto straordinario di una corrente artistica che già esisteva e continuerà ad esistere. Perché, fra tutte le cravatte, è la cravatta più bella, ma rimane pur sempre una cravatta.
Perché quando i detrattori denunciano i virtuosismi inutili e i dialoghi declamati da chissà quale pulpito come fossero versetti biblici, quei detrattori hanno ragione. Poi il film può piacere e, riconosciute queste imperfezioni, le si possono ignorare, considerarle irrilevanti o addirittura dei tratti caratteristici che ne arricchiscono la visione.
Non è però neanche una schifezza perché tutti ne denunciano l'ambizione spropositata, ma nessuno ne nega una qualità intrinseca. Sono gli attori, la regia, le battute (o almeno alcune), le situazioni. Può pure non piacere il bello, esattamente come può non piacere "La Grande Bellezza".

10. Dovrei vedere "La Grande Bellezza"?

Solo se vi interessa. Nessuno deve vedere nulla, così come i consigli vanno ascoltati ma non per forza seguiti. Che vi piaccia oppure no, tanto ci sarà sempre qualcuno che vi dirà "te lo avevo detto io".


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