Magazine Cinema
Un Classico senza tempo in grado di mescolare Cinema d'avventura, dramma profondo e commedia, per un fiume in piena cui è davvero difficile resistere, e che si gode dal primo all'ultimo minuto.
E' davvero arduo pensare di scrivere un post legato ad uno di quei classiconi che tutti, almeno una volta nella loro vita, hanno visto o dovrebbero vedere.
La grande fuga fa parte indubbiamente del novero: perfetto connubio di Cinema di genere, dramma e commedia - sulla scia dell'ancor più incredibile Stalag 17 del Maestro Wilder -, a quasi cinquant'anni dalla sua realizzazione riesce senza fatica ad inchiodare alla poltrona lo spettatore, impegnato a seguire questa impresa corale ispirata a fatti realmente accaduti nata dall'unione del mestiere di John Sturges e di un cast che più stellare, ai tempi, non si sarebbe potuto trovare neppure a cercarlo un centinaio d'anni: Steve McQueen, James Garner, Richard Attenborough, Charles Bronson, James Coburn, Donald Pleasance, giusto per citare i più noti.
Una pellicola inserita in un contesto tipico del film di guerra eppure profondamente legata al rispetto del coraggio dei suoi protagonisti e dei legami nati o sviluppati nel corso della vicenda, decisamente più incentrato - malgrado l'azione serrata - sulla preparazione che non sull'evento stesso.
E se da un lato il sorriso spunta in più di un'occasione - su tutto, i continui arresti e ritorni in cella di rigore di Hilts/McQueen con il suo guantone e la palla da baseball - dall'altro grande spazio è dato all'emozione crescente legata ai sentimenti dei fuggiaschi, alle loro speranze e alla lotta disperata non tanto per la sopravvivenza, quanto per il desiderio di tornare a battersi in un momento in cui l'esito del conflitto pareva ancora incerto.
In particolare, impossibile non sottolineare la sequenza della preparazione all'evasione - celebre l'abbandono della terra nel cortile del campo, espediente ripreso da Don Siegel in Fuga da Alcatraz e da Frank Darabont in Le ali della libertà - e lo straordinario crescendo della stessa, legato all'utilizzo di tunnel e carrelli, pompe per la circolazione dell'aria e carrucole, sincronizzato da un sistema di segnali e appeso al sempre esile filo degli imprevisti, così come le singole fughe in grado di prendere corpo una volta lasciato il campo di prigionia e completata la separazione del gruppo di evasi nella sua interezza.
A questo punto, il pubblico ha addirittura l'imbarazzo della scelta nel trovarsi più o meno coinvolto dai singoli protagonisti e dai loro tentativi di lasciare la Germania, dalla quella che pare una semplice scampagnata in bicicletta - Coburn - in attesa di un possibile contatto che porti in Spagna ad un percorso quasi spionistico che porti a mentire anche di fronte all'evidenza - Attenborough -, dalle spericolate acrobazie in moto - McQueen - allo struggente percorso di amicizia di Pleasance e Garner, il secondo a seguito del primo, divenuto cieco nel corso dei preparativi all'evasione stessa.
Quest'ultimo rappresenta, senza dubbio, uno dei vertici della pellicola e del Cinema di guerra in toto, tanto da scomodare nella mia mente paragoni con il Capolavoro di Renoir La grande illusione, in grado di colmare le lacune di un prodotto senza picchi soprattutto nella parte registica e, a tratti, tendenzialmente didascalico.
Resta sicuramente e senza dubbio l'impressione di assistere ad uno spettacolo unico, di forza e ritmo incredibili se confrontati a minutaggio ed anno di realizzazione, sicuramente molto più moderno nel suo incedere di quanto non potesse sembrare al pubblico di allora, e in qualche misura anche di oggi.
Senza dubbio, una visione da rispolverare o riscoprire, come tutti i grandi Classici meriterebbero.
MrFord
"Feel no pain, but my life ain't easy
I know I'm my best friend
no one cares, but I'm so much stronger
I'll fight until the end."
Metallica - "Escape" -
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