«Sono passati tanti anni e non ho più voglia di parlarne»: così Alfeo Zanetti, attraverso il fratello, declina l’invito a parlare di cosa accadde davvero a Milano, quel 3 novembre 1977 che cambiò per sempre la vita della famiglia Saporito. La rapina alle poste di via Castel Morrone fu un episodio di criminalità comune o una operazione di «autofinanziamento» per un’organizzazione terrorista? La risposta sta nelle carte che, su richiesta dei Saporito, la Procura milanese ha raccolto: quell’assalto fu opera di due militanti dei Nap, i Nuclei armati proletari, banda fiorita nel terreno di confine tra terrorismo e malavita comune.
Di quel contagio, scaturito nel chiuso delle carceri speciali, l’episodio più clamoroso fu indubbiamente l’evasione di massa da San Vittore, il 28 aprile 1980. La fuga era stata organizzata meticolosamente, e vide tra i partecipanti i nomi più importanti sia del terrorismo rosso che della criminalità organizzata: dal portone principale, dopo avere immobilizzato le guardie, se ne andarono Renato Vallanzasca, il boss della Comasina e il suo «vice» Antonio Colia; il capo di Prima Linea Corrado Alunni, il leader dei Nap Emanuele Attimonelli, e altri dodici detenuti. La maggior parte non andò lontano: Alunni venne ferito e catturato a pochi passi da San Vittore, Vallanzasca idem. Solo cinque dei fuggiaschi riuscirono a fare perdere le loro tracce: uno era Alfeo Zanetti, il rapinatore-nappista che tre anni prima aveva causato la morte di Giuseppe Saporito.