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La grande lezione di Nyerere

Creato il 22 febbraio 2013 da Afrofocus
Nyerere

Julius Kambarage Nyerere

Dallo scorso dicembre, nelle librerie italiane è in vendita un’interessante biografia di Julius Kambarage Nyerere, scritta da Silvia Cinzia Turrin ed edita da Emi (Editrice missionaria italiana, pp. 138, euro 11). Il volume dall’eloquente titolo “Nyerere, il maestro. Vita e utopie di un padre dell’Africa, cristiano e socialista”, racconta la grandezza dell’unico capo di Stato per cui è in corso una causa di beatificazione.

Senza ombra di dubbio, Nyerere è stato un autentico gigante della storia africana del secolo scorso, per quasi trent’anni primo presidente del Tanganica indipendente, che nel 1964 diventerà la Tanzania dopo l’unificazione con Zanzibar. Nella sua proposta politica, una forma compiuta di “socialismo cristiano-africano”, ha cercato di fondere i principi del socialismo e quelli della Dottrina sociale della Chiesa, elaborando per il suo paese un modello di sviluppo che lo rendesse effettivamente emancipato non solo dal colonialismo ma anche dal neocolonialismo, coniugando la modernità con la cultura africana.

Nyerere, puntava sulla valorizzazione del tessuto sociale africano e al contempo sul rifiuto dell’idea che, anche dopo il periodo coloniale, un paese africano potesse dipendere in qualche forma da un altro Stato occidentale. Tra le linee guida della sua azione sociale e politica figuravano la valorizzazione dell’agricoltura, il rafforzamento della self-reliance (maggiore fiducia in sé), il sentimento dell’unità nazionale, al di là delle appartenenze etniche e religiose, l’istruzione generalizzata con particolare attenzione all’insegnamento di una delle più importanti lingue africane: il kiswahili.

La stessa lingua che, quando aveva poco più di trenta anni, Nyerere insegnò al Saint Francis College di Pugu, una scuola cattolica vicino la capitale Dar es Salaam. Nyerere arrivò all’insegnamento dopo aver conseguito un diploma in Pedagogia presso l’Università di Makerere, a Kampala, in Uganda, e una laurea in Storia ed Economia presso l’Università di Edimburgo.

Fu qui che si avvicinò al fabianesimo, un movimento politico e sociale britannico nato alla fine del XIX secolo che si proponeva come scopo istituzionale l’elevazione delle classi lavoratrici per renderle idonee ad assumere il controllo dei mezzi di produzione. Un modello attraverso il quale l’insegnante iniziò a sviluppare la sua particolare lettura socialista della questione africana.

Sulla scorsa di queste esperienze personali di Nyerere, Silvia Cinzia Turrin pone bene in risalto nelle pagine del suo libro come il primo presidente della Tanzania amasse definirsi “insegnante per vocazione e politico per caso”. L’autrice della biografia rileva pure come al centro del progetto del “Gandhi” dell’Africa nera ci fosse il concetto di ujamaa (comunitarismo familiare), che lui traduceva in “famiglia estesa”, una sorta di villaggio che poteva variare da una cinquantina a cinquecento persone. Un ideale che esaltava lo spirito di fratellanza tipico delle società africane, interpretando il potere come servizio a una nazione-famiglia.

Si potrebbe opinare che la Tanzania di Nyerere appoggiava sulla disciplina del partito unico, ma la sua esperienza, che faceva perno sull’agricoltura rurale, ha rappresentato una via nuova e inedita della decolonizzazione africana e il paese è arrivato all’indipendenza, rimanendoci, in forma pacifica, a differenza di tante altre realtà del continente nero.

Nel volume di Silvia Cinzia Turrin è ben evidenziato come il grande statista condusse sempre una vita di estrema sobrietà e morigeratezza, mentre professava con convinzione la fede cattolica e al tempo stesso sosteneva l’africanizzazione del cristianesimo. A tale proposito va ricordato che il cattolico Nyerere, era critico con quella Chiesa “ancora governata da leader che provengono dagli stati capitalisti dell’Occidente sviluppato”, condannando al tempo stesso – come scrive l’autrice della biografia – i governi che ufficializzano l’ateismo, perseguitano i credenti di qualunque fede e rendono impossibile l’insegnamento della religione”.

Nyerere si ritirò dalla vita politica quando constatò che i Piani di raggiustamento strutturale imposti, a partire dagli anni ottanta, da Fondo monetario e Banca mondiale lo costringevano a dover prendere misure in contrasto con la sua visione di socialismo africano. Continuò comunque a svolgere incarichi di rilievo internazionale, tra cui la mediazione nel conflitto burundese.

La singolare esperienza di socialismo africano di Nyerere attirò anche l’attenzione di Marco Biagi, il giusvalorista italiano ucciso nel 2002 dalle Nuove Brigate rosse. Nel 1973, allora ventenne, fece un viaggio in Tanzania e pubblicò alcuni articoli su “L’Avanti” descrivendo la situazione del paese africano. Due di questi sono riprodotti in appendice del libro di Silvia Cinzia Turrin.

Su “L’Avanti” Biagi scriveva: “Nyerere era un cattolico educato in Gran Bretagna, che si è formato sui testi del socialismo europeo e che ha saputo capire che per il bene del suo popolo era indispensabile inventare una forma di socialismo adatto alla società africana. E in questo progetto ha infuso tutto il coraggio dell’africano che da secoli muore di fame e tutta la genialità del politico la cui influenza, in Africa, va ben oltre i confini della Tanzania”.

Il libro di Silvia Cinzia Turrin è sicuramente da leggere sia perché è un validissimo strumento per aiutarci a capire la levatura morale, culturale e spirituale di Julius Nyerere, sia perché, come scrive nella prefazione l’autorevole giornalista, scrittore e studioso di questioni africane Jean-Leonard Touadi, ci restituisce “la magistrale lezione del Mwalimu, il ‘maestro’ della Tanzania che ha osato pensare il nuovo nel suo paese e per l’Africa”.



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