Magazine Astronomia
* la grande triade*...urano - nettuno - plutone l'avventura dell'anima
Da Colorefiore @AmoreeDintorniAl di la' di ogni salutare disciplina, sii delicato con te stesso.
Tu sei un figlio dell'universo, non meno degli alberi e delle stelle;
tu hai un preciso diritto ad essere qui.
E che ti sia chiaro o no, senza dubbio l'universo va schiudendosi come dovrebbe.
Percio' sta in pace con Dio, comunque tu Lo concepisca,
e qualunque siano i tuoi travagli e le tue aspirazioni,
nella rumorosa confusione della vita conserva la tua pace con la tua anima.
Nonostante tutta la sua falsita', il duro lavoro e i sogni infranti,
questo e' ancora un mondo meraviglioso. Sii prudente.
Fa di tutto per essere felice."
URANO - NETTUNO - PLUTONE
L'AVVENTURA DELL'ANIMA
* LA GRANDE TRIADE*
di Sandra Zagatti
Il titolo della presente relazione è tratto da un libro di René Guénon,
in cui il grande esoterista analizza una particolare “tipologia”
simbolica riscontrabile nelle culture evolutive orientali e occidentali,
sia di ieri che di oggi, e riconducibile appunto a tre fattori legati
tra loro da un inscindibile rapporto creativo.
Sono molte le realtà analogiche che possono tradurre una tale triplice
simbologia, e Guénon stesso ne cita alcune, tra cui: Uomo, Terra, Cielo;
Corpo, Anima, Spirito; Sale, Mercurio, Zolfo; Volontà, Destino,
Provvidenza; ma potremmo aggiungere la percezione del tempo come
passato, presente, futuro… la filosofia etica espressa in pensiero,
parola, azione… e continuare con altre associazioni su diversi livelli.
Ovviamente il mio rimando al saggio di Guénon si ferma al titolo, perché
l’argomento che stiamo affrontando – nonché l’intento della mia
relazione – è un altro; tuttavia questa interpretazione della Grande
Triade mi sembra degna di interesse anche da un punto di vista
astrologico. Riconosco infatti di aver sempre considerato i pianeti
transaturniani come un gruppo in qualche modo compatto ed organico,
quasi una “squadra”; fatte salve le specifiche e relative peculiarità.
Un po’ come consideriamo i Luminari, i pianeti personali e poi la coppia
Giove/Saturno, scandendo il ritmo 2-3-2… a cui si aggiunge appunto un
altro 3 con Urano, Nettuno e Plutone.
Certo, in passato questi “ultimi tre” non esistevano, perché per la
scienza – e soprattutto per la coscienza – non essere stati scoperti
equivale a non esserci. Né so se davvero nel sistema solare ci siano gli
“altri due” che lo stesso ritmo evidenziato sembra suggerire: è
probabile, ed infatti una grande scuola astrologica italiana li
considera ben più che un’ipotesi, e persino i falsi allarmi che di tanto
in tanto giungono dai telescopi fanno pensare che l’aspettativa sia
quasi satura, e che forse un giorno l’umanità sarà pronta a conoscere
nuovi pianeti, nuovi miti, nuovi dei… che quindi solo allora /verranno
alla luce/.
Ma l’attuale società, quella a cui apparteniamo e che chiamiamo
“moderna” come se fosse la prima ed unica ad esserlo e non fossero
invece già state tutte moderne per i loro tempi… la /nostra/ società ha
superato i confini di Saturno e si trova, orgogliosa e spavalda, ma pure
un po’ smarrita, a vivere nelle ampie praterie dominate da questi lenti
e potenti – invisibili – sovrani, che si aggiungono agli antichi signori
della Tradizione come nuove domande alla coscienza e nuove risposte
dall’esperienza,
Urano fu scoperto ai tempi delle grandi rivoluzioni francese ed
americana, che rinnovarono radicalmente il concetto di società, di
valori collettivi, di diritti e doveri umani. Nettuno fu scoperto nel
periodo del Risorgimento europeo, in cui tanti confini venivano
superati, modificati, uniti in realtà geografiche e politiche diverse e
più ampie. Plutone fu infine scoperto durante un’epoca di profonda
trasformazione intellettuale ed artistica, ma anche poco prima
dell’avvento al potere del nazismo: gli “effetti” di questa triste
sincronicità si rivelarono più lentamente, in stile con il pianeta, ma
in modo anche incredibilmente più intenso e distruttivo; eppure anche da
quel periodo nacque una società nuova, più consapevole e matura, e non
possiamo dimenticare lo spirito di enorme rigenerazione e speranza –
urgenza di “ricostruzione” – che lo seguì.
Tutti le epoche citate furono violente e drammatiche, come purtroppo
sappiamo, e seminarono tanta morte, tanta sofferenza, tanto lacerante
stupore. A rileggerne i commenti storici, ci si ritrova spesso di fronte
ad ammissioni postume quasi inverosimili agli occhi odierni: gli uni che
avevano sottovalutato gli altri, gli altri che immaginavano diversi
esiti, sviste ed ingenuità incredibili, personaggi cruciali investiti da
contraddittorie proiezioni collettive, il tutto condito da infinite
“rivisitazioni” che sembrano portare a conclusioni paradossali, come se
/coscienza ed esperienza /fossero inesorabilmente divise nel percorso
della storia, così che quando c’è la prima non c’è più la seconda, e
quando c’è la seconda non c’è ancora la prima…
Difficile ammettere che sia proprio questo il “modus operandi” di Urano,
Nettuno e Plutone… Eppure non solo sul piano collettivo, ma anche su
quello individuale capita che esperienza e coscienza siano separate dal
tempo: ciò dipende soprattutto dalla lentezza dei loro transiti, ma
anche dalla sottigliezza del loro linguaggio che, paragonata alla
maggiore grossolanità della nostra mente razionale, rende quasi
invisibile – ma anche straordinariamente potente – il loro più profondo
e reale impatto. Non a caso, anche negli aspetti di nascita oltre che
nei transiti, capita spesso che il significato del loro interagire in un
Tema venga solo intravisto e persino travisato a lungo.
*Urano*, relativamente più vicino, opera frequentemente a livello di
eventi esterni; è raro che un suo transito non si manifesti con qualcosa
di nuovo, o che un suo aspetto con pianeti personali non generi una
tensione verso cambiamenti anche obiettivi. Le persone a dominante
uraniana hanno spesso esistenze movimentate, fortemente creative, in cui
si avvicendano nuove idee, nuovi incontri, nuove attività, e in cui
viceversa poche cose diventano veramente “vecchie”, perché vengono messe
in crisi prima, quanto meno modificate, se non proprio abbandonate o
allontanate in modo coatto dalle circostanze; ed anche per chi con Urano
non ha particolare familiarità, i suoi transiti si esprimono non di rado
e senza troppi complimenti con riforme più o meno gradite della realtà
di fatto.
Sembra quasi che il tempo acceleri con Urano… E invece no: anche lui è
un pianeta /lento/. I cambiamenti che offre o pretende non corrispondono
ai veri cambiamenti: non sono ciò che /davvero/ vuole, e forse ne
farebbe anche a meno se non fossero necessari per far giungere il suo
messaggio, proprio come interpreti tra chi parla lingue diverse. Così,
spesso capita che un transito di Urano ci porti effettivamente “qualcosa
di nuovo”, ma che il vero cambiamento sia invece “qualcosa di altro”,
che poco o nulla ha a che fare con la realtà così rinnovata ma che aveva
bisogno di quella realtà per accedere, appunto, alla nostra coscienza.
Dire che voglia rinnovamento, autonomia, autenticità o modernizzazione
pare una questione di termini, se non proprio di gusti; in ogni caso,
Urano è Volontà. Una volontà inconsapevole sembrerebbe non servire molto
alla causa evolutiva, eppure essa opera ugualmente su di noi –
nonostante noi – anticipando i tempi dell’esperienza e rimandando quelli
della coscienza, in una deroga solo apparentemente generosa, laddove ci
costringe a sperimentare la verità mirabilmente espressa da Dante, per
cui /«contra miglior voler, voler mal pugna»/…
*Nettuno* è un pianeta davvero sfuggente, inafferrabile, come i
guizzanti animali del suo segno e l’umido, immenso, ambiente in cui
vivono e di cui è divino sovrano. Anche la XII casa è tra quelle che
meno facilmente riusciamo a descrivere: le “prove”? i “nemici nascosti”?
carceri, ospedali, droghe? Ma è possibile che l’ultimo segno, l’ultima
casa, insomma l’ultima fase del viaggio zodiacale rappresenti qualcosa
di così poco elevato e gratificante, di così… /cadente/?
Possibile sì; ma anche significativo. Negli aspetti dinamici,
soprattutto ai Luminari, Nettuno è vissuto spesso con una sorta di
“vertigine”, quasi fosse un abisso di incommensurabile vastità che
circonda i piccoli arroccamenti personali e che quindi appare
vicinissimo e insieme lontanissimo: /altro e altrove/. Non è raro che le
persone così segnate sembrino costantemente sulla difensiva, e che
utilizzino Elementi alternativi, messi a disposizione dal loro tema, per
controbattere anche aprioristicamente questa insidia destabilizzante:
chi con la mente (Aria), chi con le azioni (Fuoco), chi con il
pragmatismo (Terra). Cantava Lucio Battisti, non a caso dei Pesci:
/«come può uno scoglio arginare il mare?»/… e infatti di fronte a
Nettuno è quasi impossibile opporre resistenza, proprio per la sua
natura inafferrabile: tentando di resistere a qualcosa, ci si accorge
presto che il qualcosa non è più lì ma altrove; tentando di combattere
un qualche nemico, ci si accorge che il vero nemico è un altro. Ed è
davvero un nemico /nascosto/: ma dentro di noi.
Non c’è alternativa; o, se c’è, è effettivamente alienante. Non si può
fuggire da Nettuno pensando che Nettuno /sia/ la fuga. Non si può essere
liberi e contemporaneamente imprigionati: ci provano da sempre gli
artisti, gli alcolisti, i folli, giustamente equiparati senza gerarchie
morali a rappresentare l’estremo tentativo di vivere un Nettuno
part-time, e ci proviamo un po’ tutti durante i suoi transiti più
impegnativi, quando per sublimare la vertigine ci mettiamo a scrivere
poesie o cominciamo a fare yoga! Naturalmente ciò va benissimo… ma solo
/quando/ va bene; perché può anche andar male, e noi possiamo ritrovarci
molto più vulnerabili e fragili, seduti sullo scoglio ad osservare il
mare che ci circonda come se ci assediasse.
Questa non è, appunto, una vera /soluzione/. L’unica è quella di
tuffarsi, ritrovando in ciò che sembrava un’esterna minaccia quel senso
di appartenenza che a quel punto non è più identificabile in un
abbraccio avvolgente ma in una impregnante presenza: ciò che sembrava
/altrove/ ora è /ovunque/, ciò che sembrava una divisione, persino una
disgregazione, ora è fusione e partecipazione. Questo è forse il senso
della Provvidenza, di ciò che appunto provvede a noi e per noi
(/vede-pro/), che è sempre a nostra disposizione ma a cui riusciamo ad
accedere solo rinunciando all’egoica ma in fondo pavida illusione di
essere autosignificanti.
Se Urano è più immediato e manifesto, e Nettuno più sfumato ed
insinuante, certamente *Plutone* appare diverso da entrambi, pur non
essendo nemmeno una via di mezzo: anzi, tutto si può dire di questo
pianeta tranne che usi mezzi termini…
E’ un pianeta di grande intensità, con un’energia quasi “omeopatica”,
che sembra appunto potenziata dalla sua distanza e piccolezza; un
pianeta con un’orbita eccentrica che può a volte avvicinarlo più di
Nettuno, e con escursioni di latitudine tali da rendere difficile, a
volte, scommettere sulla casa che occupa, quasi operasse davvero in
modo… occulto. Ma ciò che lo caratterizza ancora di più, e che lo
differenzia da ogni altro pianeta del sistema solare, è la sua natura di
pianeta “doppio”. Legato dal comune baricentro con il suo satellite
Caronte, non molto più piccolo di lui, Plutone sembra infatti
rappresentare l’eterna danza della dualità: condizione squisitamente
“vitale” laddove venga intesa come intrinseco corollario dell’esistenza,
e che proprio per questo lo rende così potentemente legato all’Anima
terrena più inconscia e collettiva…
Negli aspetti natali, ma anche nei suoi transiti, Plutone ha un’indubbia
capacità di rendere le cose più complicate, o meglio più /complesse/ di
quanto potrebbero essere e soprattutto vorremmo che fossero, riuscendo a
riesumare tutto ciò che è nascosto, a prescindere dalle motivazioni per
cui e con cui tali nascondigli siano stati predisposti. Nessun pianeta
dopo Saturno si interessa più granché della sfera etica, ma Plutone
sembra essere particolarmente a-morale (a volte persino immorale) nel
suo colpire direttamente, anche se non altrettanto velocemente e
manifestamente, la radice di ogni nostra problematica interiore, di ogni
nostro complesso, di ogni ferita subita o provocata nonché tenacemente
protetta dal rischio-timore di infezioni. Questo perché non c’è
nascondiglio che tenga con Plutone: suo è appunto il regno
dell’invisibile, ed anche il potere di dare dignità e valore a tutto ciò
che non si vede – non si può o non si vuole vedere – ma che non per
questo è meno reale… Proprio come la radice di una pianta che, “sotto la
terra scura”, nutre le proprie foglie grazie all’humus prodotto da altre
foglie, cadute e raccolte dal tempo passato: e che sempre,
letteralmente, /passa/ la fiaccola della vita da una morte all’altra.
Plutone era il Dio mitologico degli Inferi. Ma è triste pensare che
proprio noi, che abbiamo ricevuto l’eredità greca, sembriamo averne
dimenticato la sfaccettata “complessità”, non solo riducendola ad una
“dualità” più moralistica che archetipica, ma soprattutto investendone i
poli di una valenza alternativa che una mera funzione energetica non può
esprimere. E’, in fondo, un’aberrazione relativamente recente quella che
ha trasformato /bianco e nero/, /yin e yang/ in /bene e male/, ma ha
attecchito in fretta; ed ancor più breve è stato il passo successivo,
con cui il male è stato associato a tutto ciò che è da rifiutare (e che
la psiche fin troppo spesso interpreta con negazioni, rimozioni,
proiezioni). Eppure il regno di Plutone accoglieva sia i dannati nel
Tartaro che i giusti nei Campi Elisi! Non era… l’Inferno; non quello
cattolico né quello che una certa “cultura della sofferenza” fa
coincidere con le fatiche del viver quotidiano…
Verrebbe da dire – e non è gratificante – che siamo noi a costringerlo
ad infliggerci sofferenze infernali, o a vedere il Destino come qualcosa
di estraneo a noi e, /quindi/, doloroso; mentre potremmo accoglierne
l’insegnamento anche solo osservando quanto tutto in natura “muore e
diviene” in modo non complicato ma semplice, non doloroso ma spontaneo,
non dilungato in crudeli agonie ma favorito dal tempo più giusto perché
più congruo: più naturale, appunto.
«All’inferno non ci si va: ci si resta»/, disse Vittorio Messori; tutto
sommato, anche questo è un libero arbitrio…
Ecco: la libertà. E’ una bella parola, una parola “grossa” e purtroppo
inflazionata da un uso sempre più approssimativo e strumentalizzato,
tanto da essere quasi diventata una parola vuota. Poco male, in fondo,
se questo vuoto ci permette di riempirla nuovamente dei suoi più degni
contenuti.
La Grande Triade planetaria ci parla spesso di libertà, anche se
altrettanto spesso noi interpretiamo questi stimoli come costrizione, o
meglio privazione. Eppure – ed è un’associazione persino banale – non è
azzardato vedere in Urano l’offerta o richiesta di una “/libertà/ /da…/”
(da impedimenti, da legacci, da limitazioni nel comportamento o nella
stessa visione della vita): una libertà funzionale, si potrebbe dire,
quasi propedeutica, come una condizione necessaria anche se non
sufficiente. Nettuno sembra invece essere evocatore di una “/libertà/
/per…/” (per sentire, per capire, per vivere diverse esperienze o
cogliere dalle esperienze diversi significati), laddove il suo sostegno
di sublimazione e idealizzazione ci porta a sopportarne meglio gli
inviti dilaganti ma anche, a loro modo, dilatanti. Plutone giunge alla
fine, a traghettarci verso la “/libertà di…/”: di scendere agli inferi,
come Persefone, ma anche di risalire; di scegliere tra la Vita e la
Morte, come nel monito evangelico. Libertà di essere, insomma: al di là
della luce effimera dell’avere, del potere, dell’apparire, e al di là
delle ombre che una tale luce inevitabilmente genera.
La Libertà è dunque il messaggio più forte e specifico che i pianeti
transaturniani ci portano. Gli altri pianeti ci mettono di fronte a
realtà diverse, che chiamiamo con diversi nomi ma che ci appartengono e
di cui contemporaneamente dobbiamo riappropriarci, per integrarle in un
individuale risultato: bisogno, desiderio, volontà, necessità, dovere,
piacere… Così consacrato dalla coscienza, tale risultato diventa a sua
volta strumento evolutivo, quasi un viatico per il percorso di
liberazione offerto da Urano, Nettuno e Plutone.
«Per orientarti nell’infinito, distinguer devi e poscia unire»/,
scrisse Goethe.
Ed effettivamente, il ritmo 2-3-2-3 di cui ho accennato opera come una
sorta di /Solve et coagula/ alchemico, in cui il 2 si pone come
esperienza e il 3 (nuovo 1) come coscienza. Passare dal 2 al 3 significa
infatti passare dalla linea al piano, cioè non solo aggiungere un’unità
ma raggiungere una nuova dimensione, che è figlia del prima e madre del
poi… Questo sembra appunto essere il modo in cui la nostra anima cammina
sulla terra, e che i pianeti del /nostro/ sistema solare scandiscono e
testimoniano: la vita come essere, come essenza, parte dal Sole ed ha
nella Luna la sua controparte interiore; si forma e si esprime con
Mercurio, Venere e Marte; si verifica socialmente e moralmente con Giove
e Saturno; si rinnova, si eleva e si trasforma con la Grande Triade.
Solo a quel punto la coscienza può tornare al Sole, o forse raggiungerlo
finalmente. Perché a quel punto – che è un punto di vista e non certo
un punto di arrivo – ciò che /ci accade/ non è più una richiesta o
un’imposizione, ma un dono.
C’è un magico rapporto tra gratitudine e Grazia, perché sono due facce
di una stessa, preziosa, medaglia: due fasci di luce, uno in uscita e
l’altro in entrata, che utilizzano però la stessa porta, laddove noi
riusciamo ad aprirla e a /mantenerla/ aperta in ogni momento, anche in
quello più difficile. Il dono sta tutto nel fatto che ogni momento può
essere /quel/ magico momento, e, come non ci sono proroghe, non ci sono
nemmeno scadenze.
Una luce così lontana ci mette un po’ ad arrivare; ad essere vista. Ed
invisibili infatti appaiono questi pianeti, tanto distanti nello spazio
e quindi nel tempo... Eppure sono là che ci aspettano, là dove siamo
chiamati, là dove stiamo andando o forse tornando anche senza saperlo,
anche /mentre/ non lo sappiamo: dove la Volontà, la Provvidenza e il
Destino coincidono, la Terra e il Cielo si congiungono nell’Uomo e lui
si ri-unisce al proprio significato più vero. Proprio là, dove il buio
nasconde la sua promessa di luce.
/«Hoc opus, hic labor est» (Virgilio)//
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