Plotone d’esecuzione
Scritto per East Journal in occasione del centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale
Il 28 giugno di cento anni fa non iniziò la Prima guerra mondiale, nonostante questa data segni per convenzione l’avvio del conflitto, in quel giorno iniziò la fine dell’Europa sino ad allora conosciuta. Un’Europa che si considerava, più o meno oggettivamente, il centro del mondo ma soprattutto della cultura e della civiltà. Eppure il Vecchio Continente (che vecchio non si sentiva) cadde in una vera e propria barbarie, passando attraverso i quattro anni forse più lunghi, ma allo stesso tempo più brevi, della sua storia. La Prima guerra mondiale fu di fatto questo: l’esplosione di una miriade di contraddizioni.
L’Europa era abbagliata dalle luci della Bella Epoque, la scienza sembrava garantire un avvenire radioso e la violenza era stata bandita, o perlomeno lo sembrava. Dall’ultimo confronto armato tra potenze (quelle importanti, le Grandi) erano passati diversi decenni, ora tutto sembrava risolvibile attraverso la diplomazia e la rete di alleanze che ogni Stato intesseva per meglio gestire i propri interessi. E proprio l’intreccio di alleanze si rivelò uno dei fattori che contribuirono allo scoppio del conflitto, che prese il via realmente solo diversi giorni dopo l’attentato di Sarajevo. Questo solo uno dei temi affrontati da un grande storico come James Joll, che più di altri analizzò le possibili cause che portarono alle armi in quel giugno lontano.
La violenza sembrava essere stata rimossa, o perlomeno “delocalizzata” sui teatri coloniali, dove la civiltà europea veniva esportata a colpi di fucile, certo in cambio di qualche vantaggio economico. Ancora, la violenza era relegata tra le fasce marginali della popolazione, così lontane e diverse da una borghesia in piena ascesa e dedita ad un nuovo fenomeno, dal grande futuro: il consumismo. La violenza era prerogativa di un gruppo di persone che solo a nominarle mettevano paura: gli anarchici, da decenni attivi nella loro “propaganda del fatto” che aveva appunto fatto rotolare a terra diverse corone e panciotti. Ma erano dettagli di secondo piano, retaggi di un passato da bruti, l’Europa era avviata invece sulla via del progresso.
E progresso fu, ma distruttivo. Nessuno si aspettava il massacro che seguì le gesta di Gavrilo Princip, un bagno di sangue figlio dell’industrializzazione della guerra. Le prime truppe andarono in guerra cantando, con divise ed armamenti vecchi di secoli e senza la minima idea di cosa sarebbe stata la guerra moderna. Nessuno aveva nemmeno la minima idea di cosa sarebbe stata la stessa Europa moderna. La coscrizione obbligatoria divenne la norma, il popolo fu chiamato a contribuire allo sforzo bellico, le donne vennero di fatto integrate nella società attraverso ruoli mai avuti prima e la produzione industriale si convertì. Gli intellettuali si arruolarono entusiasti, venendo falcidiati una volta al fronte, spesso inquadrati come ufficiali al comando dei soldati popolani. Magistrale a proposito restano i lavori di Robert Wohl.
Anno fatidico fu il 1917, in cui praticamente tutti gli eserciti si ribellarono, in modo particolarmente grave quello francese. Fu una vera e propria ondata rivoluzionaria (classista?), in Italia fu la Caporetto di Malaparte, contro i superiori e la guerra di trincea che bloccava gli uomini nel fango, immobili. Immobilismo in gran parte dovuto alla produzione industriale, mai cosi attiva nel realizzare nuovi armamenti. L’industria dominava l’uomo, in una sorta di capovolgimento del mito prometeico bolscevico. Ma i governi repressero i soldati, che dovevano lottare per la patria e non per sé stessi, furono decimazioni e tribunali militari, con i carabinieri (nel caso italiano) pronti a sparare contro chi si dimostrava vile. E qui sono magistrali gli studi di Forcella e Monticone, vera e propria antologia del disonore che si fa onore, quello dei fucilatori.
La guerra finì, più per logoramento che per reale vittoria di qualcuno, ma i conti da regolare erano ancora molti. L’Europa che uscì dalla guerra non era più vergine, gli zulù erano entrati nel tempio di Vesta ma soprattutto il popolo non era più lo scuro contorno di una gita domenicale. Era diventato ora necessario inquadrarlo, riportarlo all’antica obbedienza, consapevoli che ora poteva mordere quando gli si porgeva un tozzo di pane, l’anarchia poteva vincere. Dalla Prima guerra mondiale uscì quindi un’Europa corrotta ed incredula, senza più orizzonti definiti, un’Europa che forse non ha ancora ritrovato la serenità per affrontare sé stessa e che oggi rischia lo stesso errore: rimuovere quello che non piace ritenendosi pura, e pacifica, in un mondo che affonda.
Fonte immagine: Wikicommon