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I due Elia, Fantino il Cavallaio e Fantino il Giovane; Nilo da Rossano e Nicodemo da Mammola; Filareto di Seminara e Leo di Bova: sono solo alcuni nomi di santi italo-greci. Per conoscere la loro storia, nella maggioranza dei casi, occorre frequentare un corso di studi universitario in materie umanistiche o professare la fede cristiano-ortodossa.Di converso, la religiosità popolare reggina si avvale di culti straordinariamente seguiti, relativi a santi di origine settentrionale o estera, quali Francesco di Assisi, Antonio da Lisbona (più noto come Antonio di Padova), Rocco di Montpellier o Domenico Guzman.La spiegazione di tale paradosso evidente – una terra ricca di modelli di santità autoctoni che attribuisce largo credito agli “stranieri” – risiede in antiche motivazioni storiche, politiche e propagandistiche.Si sa che la Calabria e, il Reggino in particolare, almeno dall'XI secolo in poi, furono esposti alle orde barbariche dei conquistatori Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi e via dicendo, i quali, al fine di legittimare il possesso di quelle floride e plurimillenarie regioni, nonché di prevenire le eventuali ribellioni, pensarono bene di cancellarne la storia, la cultura e le tradizioni ancestrali.Sul terreno prettamente religioso, la strategia applicata dai suddetti predoni consistette soprattutto nella fondazione capillare di monasteri benedettini e centri abbaziali di rito latino nei luoghi-chiave (l'esempio classico è l'Abbazia di S. Maria e i XII Apostoli a Bagnara) dei territori conquistati, in modo da poter competere e successivamente scalzare i centri religiosi e gli scriptoria ortodossi.Alla fine del XIII secolo, insieme agli Angiò, la Santa Inquisizione approdò sulle rive dello Stretto, perfezionando, grazie alla frenetica attività di repressione e violenza condotta dai fondamentalisti benedettini e domenicani, l'imposizione di culti e dottrine religiose di provenienza franca. Il tutto grazie all'incondizionato appoggio dei pontefici romani, sovrani feudali, pur senza uno straccio di fondamento giuridico, del Regnum SiciliaeOggigiorno, la memoria della “guerra dei santi”, uno dei molteplici aspetti legati alla strategia globale di annichilimento culturale dell'Identità Reggina e Meridionale in genere, vive esclusivamente negli studi degli accademici e nei ricordi di tutti coloro che non dimenticano le proprie, vere, radici.Tuttavia, chiunque di voi vada a visitare il monastero di S. Giovanni Theristis a Bivongi o quello di S. Filareto e S. Elia il Giovane a Seminara, ammirando estasiato le peculiarità architettoniche o le superbe icone romeo-bizantine, non potrà fare a meno di provare quell'inspiegabile moto interiore fatto di brividi e reminescenze arcane che l'indomito senso di appartenenza a questa terra bellissima e sventurata non riesce, nonostante tutto, a celare.
In foto: Ritratti di S. Nicodemo da Mammola e S. Elia lo Speleota; il Monastero di S. Giovanni Theristis a Bivongi e quello di S. Filareto e S. Elia il Giovane a Seminara.
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CULTURA, TALENTI
Inviato il 28 novembre a 23:26
Assurdo articolo... non esiste una guerra dei santi, ma un cambiamento cultuale, che pian piano ha mutato la devozione di questo o quel santo per altro. Ricordo uan volta un leghista che mi disse: Antonio abate è l'Antonio del nord, mentre Antonio da Padova è del sud! Assurdita! I Santi non hanno confini! “I santi non conoscono le frontiere, le nazioni; non conoscono nessuna divisione né appartenenza. Loro sono al di sopra di tutti e per tutti! I santi sono il legame più forte tra la terra e il cielo, e ancora tra i popoli stessi. Loro sono i nostri rappresentanti davanti al Signore e mediatori tra i popoli. Loro portano pace laddove c’è discordia e degli sconosciuti fanno amici.” (S. B. Stefan, Arcivescovo di Ohrid e di Macedonia)