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Da più di un anno cerco di capire chi sia Piero Sansonetti, quale lo scopo di alcune sue spiazzanti prese di posizione e cosa rappresenti Calabria Ora nello scenario politico-culturale calabrese. Questa mia personale ricerca non sta approdando da nessuna parte. Forse per limiti miei. Forse perché il personaggio non si presta ad etichettature definitive. O forse perché a non essere catalogabili sono la politica e la società calabrese.
Già il suo arrivo, nell’estate 2010, fu una sorpresa. Che ci veniva a fare, in Calabria, l’ex direttore de L’Unità e di Liberazione? Calabria Ora attraversava il momento più critico dalla sua nascita, lo scontro tra gli editori e il direttore Paolo Pollichieni – di recente tornato in sella, più agguerrito che mai, con il settimanale Il corriere della Calabria –, conclusosi con le dimissioni di quest’ultimo e dello zoccolo duro della redazione. Origine del terremoto, gli scoop sui rapporti tra mafia e politica, in particolare gli articoli di Lucio Musolino su alcune imbarazzanti frequentazioni del governatore Giuseppe Scopelliti e di altri politici reggini. E proprio Musolino fu la prima vittima del nuovo corso, nonostante le spallucce di Sansonetti, che addossò interamente alla proprietà il licenziamento del giornalista.
Tacciato dai detrattori di eccessivo esibizionismo, non fa nulla per nascondere il desiderio di stupire a tutti i costi, sostenendo posizioni spesso impopolari a sinistra, che gli sono valse l’accusa di collaborazionismo e intesa con il nemico. Discutibile il suo modo di argomentare lievemente ammiccante, quel “capite bene” che in genere, nei suoi articoli, precede l’affondo. Uno stratagemma per mettere con le spalle al muro il lettore, che si sente quasi obbligato a capire e condividere, anche se è di tutt’altro avviso. Non gli vengono perdonate le partecipazioni a “Porta a porta” – dove dovrebbe rappresentare il pensiero della sinistra – e i salotti frivoli e vacui dei talk show televisivi del pomeriggio. Mentre tutti i giornali di sinistra (e non solo) si scagliano contro il presidente del consiglio, Sansonetti si distingue per la condanna del tribunale mediatico (“Abbasso Santoro, viva le veline”) e l’indulgenza usata per le vicende Noemi e Ruby.
Il sensazionalismo come stella polare. Dalla morte di Lady Diana (“Scusaci principessa”), alla grazia per Anna Maria Franzoni; dalla legittimazione dell’estremismo nero di Forza Nuova, allo sdoganamento dello slogan fascista “boia chi molla”, proposto come grido di battaglia per un nuovo meridionalismo. Ancora, il tema spinosissimo della giustizia. La sottoscrizione della lettera (tra i firmatari, Fabrizio Rondolino, Claudio Velardi, Ottaviano Del Turco, Enza Bruno Bossio) che, a gennaio, scongiurava la sinistra di non farsi trascinare dal giustizialismo montante, perché “la corruzione va perseguita, ma non, come fu nel ’92-’94, decapitando una classe politica”. La lotta ingaggiata con la procura di Reggio e un garantismo sempre ostentato che improvvisamente viene meno. Per cui i pentiti non possono essere affidabili se accusano Scopelliti, ma diventano credibili se attaccano Giuseppe Pignatone. Da ultimo, il caso della collaboratrice Giuseppina Pesce, la cui ritrattazione, poi ritirata, è stata utilizzata da Sansonetti per insinuare pressioni psicologiche e confessioni estorte dal procuratore di Reggio. Una strategia difensiva – è poi emerso – che sostanzialmente si avvaleva dell’ignaro direttore di Calabria Ora (al quale l’avvocato Madia consegnò la lettera fatta firmare alla propria assistita perché “era l’unico disposto a pubblicargliela e a sposare la nostra causa”) per intorbidire ulteriormente l’aria insalubre della procura reggina. La gestione dei pentiti e delle loro rivelazioni è un aspetto essenziale del tema della giustizia. Ma un giornalista strumentalizzato non fa per niente una bella figura. E non è neanche una bella notizia.
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